Parma, Casa della Musica, 21-22 dicembre 2002

 

P I Z Z E T T I   O G G I

ATTI  DEL  CONVEGNO

 

Gli anni della formazione

 

Gian Paolo Minardi*

 

 

Se per molti artisti gli anni dell’apprendistato scolastico sembrano profilarsi come un preambolo obbligato, non sempre necessariamente determinante per gli sviluppi che verranno, nel caso di Pizzetti la formazione appare parte integrante del definirsi della sua personalità; che, appunto, già nel raro fervore che anima l’adolescenza del giovane, si delinea con una propria intima necessità espressiva. Non è uno studente precoce; quando si iscrive al Conservatorio, a Parma, ha quindici anni, “fanciullo fatto di poco corpo e di molta anima, non troppo vivo e pieno di sogni”, come lo ricorderà pochi anni dopo un altro illustre compagno di studi, dal carattere ben più estroverso e fantasioso, Bruno Barilli. Sogni che il giovane non sembra trovar corrisposti nel suo primo insegnante di composizione, Telesforo Righi, col quale Pizzetti entrerà presto in conflitto, “per sostenere gli ideali suoi d’arte”, come sottolineerà poi ricostruendo questo non felice rapporto. Di ben altro tenore e di diverso respiro sarà quello che andrà stabilendosi con Giovanni Tebaldini, dopo che questi aveva assunto la Direzione del Conservatorio, con le augurali credenziali dello stesso Verdi, il quale in varie occasioni non aveva mancato di attestare la propria stima per il musicista bresciano.

La figura di Tebaldini sembra ritrovare ora, in occasione del cinquantenario della scomparsa, una nuova luce che ne svela i meriti con tutta la pienezza che gli è dovuta, come musicista ma soprattutto come studioso, per l’opera preziosa svolta per il recupero delle nostre più antiche tradizioni musicali. “Tebaldini era un uomo angelico – mi diceva Gavazzeni – seppure con una vita piena di risentimenti polemici, di diatribe. Ma di gran livello culturale e musicale”.

Il suo arrivo a Parma apre nella scuola orizzonti insospettati, che lo stesso Pizzetti riassumerà cinquant’anni dopo in un ritratto ancora vivo e riconoscente: “I quattro anni durante i quali il Tebaldini diresse il nostro Conservatorio rimangono senza dubbio i più belli, i più fervidi, i più fecondi che il nostro Conservatorio abbia vissuto da cinquant’anni; e forse non ne aveva avuto di altrettanto memorabili neanche prima. Prescindendo da tutto ciò che io personalmente m’ebbi da lui – la immediatezza della sua comprensione di uomo e di artista, il conforto della sua fiducia, il suo affetto di maestro e di amico fraterno – il Tebaldini fu il primo a rivelare a tutti noi scolari del Conservatorio, la pura bellezza del canto liturgico latino, e la stupenda bellezza della polifonia vocale italiana e straniera dal Quattro al Seicento; e ci fu guida e maestro allo studio e alla conoscenza di innumerevoli musiche grandi, di ogni tempo e paese. Era il Direttore del Conservatorio, ma voleva anche essere ed era, per tutti gli alunni, un compagno un amico un fratello. E fu lui che condusse noi scolari di Composizione all’Abbazia di Torrechiara per udir cantare il canto gregoriano dei Benedettini; lui che ci condusse a Bologna per udire i concerti diretti da Martucci e da Richter e da Toscanini; lui che condusse a Busseto l’orchestra del nostro Conservatorio (sì, il nostro Conservatorio aveva allora una sua orchestra!) a dare un concerto di musiche di Verdi…”.

Una simile apertura non poteva non determinare le reazioni di un ambiente sordo ad ogni novità: una delle accuse rivolte a Tebaldini si riferiva al fatto che l’aver coinvolto gli allievi nello studio delle antiche musiche liturgiche costituiva una pressione di tipo clericale; motivo che si tradurrà in una precisa accusa da parte della Commissione d’inchiesta nominata dal Ministro della Pubblica Istruzione, quella di aver “favorito tendenze clericali e dispotiche in pieno contrasto con lo spirito liberale e moderno della popolazione di Parma”. Formula che Mario Pilati, uno degli allievi più cari di Pizzetti, interpreterà poi con uno scandaglio ben più rivelatore, parlando di “un ambiente di cose e d’uomini contro il quale era giocoforza mettersi in aperta posizione di battaglia, trattandosi di demolire barriere insormontabili costituite da vieti pregiudizi, da una balorda e caotica prassi scolastica e, barriera più di tutte insormontabile, da un complicato ingranaggio di meschini interessi personalistici, tenuto su da uomini in cui l’inettitudine tecnica ed artistica era pari alla più elastica instabilità della coscienza. Si era nel tempo del maggior auge e imperio di quella consorteria di uomini… facente capo alle Logge massoniche e ai falsi apostoli della demagogia socialistoide da tavolino e da osteria, da un lato, e dall’inconcludente liberalismo dall’altro”. Come non pensare a quanto era avvenuto nella nostra città, alcuni decenni prima, quando il progetto di riforma dell’orchestra ducale voluto da Maria Luigia la quale, con una visione allargata, aveva incaricato Paganini, venne misteriosamente insabbiato? Anche Tebaldini, come Paganini, se ne dovette andare.

Rimane, imprescindibile, il segno lasciato sul suo vero allievo che fin dalle sue prime prove scolastiche lascia intendere di possedere una personalità sicura. “Originalità di concetti, logico e moderno sviluppo delle idee melodiche e una disposizione felice nell’esprimere musicalmente le proprie intenzioni, nel mettere in bella evidenza le sue idee e nel cavarne l’effetto voluto: doti tutte non facili certo a riscontrarsi in un giovane che muove i primi passi”, così il commento su la Gazzetta di Parma del 24 giugno 1898 all’esecuzione dell’Intermezzo sinfonico eseguito durante il saggio del Conservatorio, opera di un diciassettenne (la partitura reca la data “Coviolo, 20 maggio 1897”) nella quale affiorano già, pur tra l’andamento scolastico, alcuni tratti che costituiranno una costante nel linguaggio pizzettiano più maturo: quella propensione ad un eloquio essenziale e al tempo stesso affettuoso che si può cogliere nel segno icastico del tema e soprattutto nell’ammorbidimento recato da quella terzina che è senza dubbio uno dei contrassegni più sicuri del nostro compositore. Il lavoro presentato al saggio dell’anno successivo, l’intermezzo Il sonno di Giulietta, svela quella propensione drammatica che era stata la scintilla prima ad accendere l’immaginazione dell’adolescente, prima ancora che la musica sopravvenisse con i suoi rapimenti e con i suoi imperativi. E proprio nei primi anni della sua fervida giovinezza uno dei progetti tentati era stato attivato da Shakespeare, con Romeo e Giulietta, appunto. Insieme a questo intermezzo, nello stesso saggio, Pizzetti presenta il Canto di guerra , ispirato al Fingal di Ossian: entra in gioco qui il coro, altra presenza fondamentale della poetica pizzettiana, anche se quella nuova consapevolezza polifonica che il giovane assumerà dalle esplorazioni guidate da Tebaldini entro lo sconosciuto universo della grande produzione rinascimentale appare ancora sopita. […]

Altro è il luogo dove Pizzetti si incontra con la contemporaneità, e tra i pochi a comprenderne il senso credo sia stato Bastianelli, con quella sua coscienza inquieta e contraddittoria. Diviso qual era tra un’oscura attrazione per i fantasmi del decadentismo, che pur contrastava, e l’aspirazione a ritrovare quella che egli chiamava “l’italianità della volontà e della coscienza”, Bastianelli vede nel giovane Pizzetti l’artista che incarna tale aspirazione; individua in lui “un’aisthesis non più mortificata dal plagio romantico sette e ottocentesco: un senso armonico e ritmico di nuovo semplice e schietto, cioè non più inquinato dalla retorica della ricerca o della fiacchezza dell’improvvisazione; una chiarezza di temi più che personali, nazionali, nostrani, e non più sterili come quelli stranamente infecondi dell’ottocento, ma pieni di fertilità di conoscenza quanto quelli del quattrocento e del cinquecento; un bisogno di forma strettamente aderente al significato o della parola o della situazione”. È l’idea, appunto, di “parlatore musicale” che coglie la naturale vocazione del giovane per la parola musicata, la sua attrazione quindi per l’antico cantus planus che l’insegnamento e la frequentazione di Tebaldini gli aveva reso familiare: nei termini, però, ben più attivi di una nuova ragione creativa. […]

L’esperienza delle musiche per La Nave costituisce un momento certamente cruciale per la definizione della poetica pizzettiana, attorno al quale si possono riassumere alcuni motivi, variamente intersecantisi, che si dirameranno poi lungo l’intero percorso creativo: innanzitutto il particolare rapporto con quella musica così remota, che trascendeva la ricerca puramente storico-filologica, per stimolare invece un’assimilazione più scorciata attraverso il processo immaginativo della creazione. E poi il rapporto tra l’arcaica nozione monodica e la visione polifonica: Pizzetti, infatti, tramite l’illuminante guida di Tebaldini, “scoprirà” il gregoriano contemporaneamente alla grande polifonia rinascimentale e proprio tra questi due piani, pur lontanissimi, stabilirà un tipo di relazione molto particolare. “Ho voluto che la polifonia della mia musica corale – spiegherà nella Lettera [all’Avv. Bocca] - sorgesse generata spontaneamente dalle melodie stesse, svolgentisi liberamente in tutta la ricchezza del loro ritmo originale e conservando le loro caratteristiche modali”. […]

(Stralcio della relazione pubblicata in PIZZETTI OGGI | ATTI DEL CONVEGNO, a cura di Gian Paolo Minardi per le edizioni della Fondazione Teatro Regio di Parma, marzo 2006, pp. 39-45)

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* Minardi Gian Paolo é nato e ha compiuto i suoi studi a Parma, dove è stato professore associato di storia della musica moderna presso l’Università (Facoltà di Lettere e Filosofia). Oltre a numerosi articoli su riviste italiane e straniere, ha pubblicato alcuni volumi tra cui una monografia su Pizzetti, uno studio sui Concerti per pianoforte di Mozart e sulla musica da camera di Schubert. Dal 1973 è critico musicale della Gazzetta di Parma. È chiamato a tenere relazioni in convegni e seminari.

 

 

Il lascito Pizzetti nella sezione musicale della Biblioteca Palatina di Parma

Raffaella Nardella*

 

Il lascito Pizzetti, costituito dal complesso dei libri, della musica, dell’archivio e dei cimeli appartenenti allo studio romano di via Panama, per la quantità e l’eterogeneità delle fonti, rappresenta un punto di riferimento fondamentale per la ricerca e lo studio della figura del musicista parmigiano e della vita musicale del ‘900.

La sua presenza a Parma, all’interno del Conservatorio, dove ha sede la Sezione musicale della Biblioteca Palatina depositaria del lascito, accanto all’aula dove Pizzetti fu allievo e docente, assume inoltre un particolare significato, ponendosi come ultimo suggello del legame del musicista con la sua città natale e il suo conservatorio. [...].

Il corpus dei documenti conservati nello studio Pizzetti può essere ripartito nelle seguenti sezioni:

a) Epistolari e documenti vari

b) Libri e periodici di interesse musicale

c) Opere letterarie

d) Musica manoscritta

e) Musica a stampa

f) Programmi di sala

g) Libretti

h) Fotografie

 

a) Epistolari e documenti vari

 

L’archivio epistolare di Pizzetti, strumento imprescindibile per la ricostruzione della sua personalità e della sua attività, come tanti altri archivi che per vari motivi legati a vicende storiche e familiari risultano sparsi e frammentari, è confluito in diverse istituzioni, per cui nel lascito si conserva solo una parte del corpus originario. Un’altra cospicua sezione è custodita dall’Archivio storico dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani che nel maggio del 1991 acquistò circa 5.000 lettere vendute all’asta a Roma da Christie’s, fra le quali si possono rinvenire gli epistolari di quei grandi personaggi della musica e della letteratura che furono in corrispondenza con Pizzetti e che risultano mancanti a Parma.

Nel lascito si conservano gli epistolari originali di Guido M. Gatti (150 lettere dal 1917 al ‘60), di Gianandrea Gavazzeni (236 lettere dal 1934 al 1967) e di Giovanni Tebaldini (243 lettere dal 1907 al ‘52), mentre sono stati consegnati in copia dattiloscritta gli epistolari di Riccardo Bacchelli, Bruno Barilli, Mario Castelnuovo Tedesco, Giuseppe De Robertis, Gianfrancesco Malipiero, Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini [...].

Significativo e cospicuo l’epistolario di Giovanni Tebaldini, figura chiave per la formazione musicale del giovane Pizzetti, che comprende  243 lettere dal 1907 al ‘52. Dalla lettura emerge lo stretto rapporto di amicizia fra il giovane allievo e il direttore, didatta e amico, dal quale Pizzetti assimilò il culto del gregoriano e lo spirito religioso che diventeranno elementi fondamentali della sua arte.

Gli anni trascorsi in conservatorio - le lezioni di polifonia vocale, la visita all’Abbazia di Torrechiara dove la classe di composizione di Tebaldini ascoltò il canto gregoriano dei Benedettini, la gita a S. Agata dove il giovane Pizzetti vide Verdi come “un’apparizione di sogno” e i saggi scolastici - sono più volte rievocati da Tebaldini nelle lettere a Pizzetti, con amarezza per il mancato riconoscimento al suo operato e, nel contempo, con soddisfazione poiché dopo tanti anni poteva raccogliere, nei successi sempre crescenti del suo allievo, i frutti del suo insegnamento. Vicini per affinità spirituale e ideologica, Pizzetti e Tebaldini erano accomunati anche dalla fede verdiana, che mantennero integerrima per tutta la vita, e dall’atteggiamento di rispetto e di difesa della tradizione operistica ottocentesca, di cui Verdi era considerato il nume tutelare. Il nome e la figura del sommo Maestro, la sua moralità della vita e dell’arte, che accompagnarono il musicista bresciano per tutta la vita, sono più volte ricordati nelle lettere a Pizzetti specialmente nelle occasioni celebrative, cui entrambi, fino all’ultimo anniversario verdiano del 1951, offrirono il loro contributo con saggi e conferenze6.

 

[...] Si conserva la documentazione relativa all’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, di cui Pizzetti diresse la sezione musica, che comprende lettere di Giovanni Gentile, coordinatore dell’impresa editoriale, minute di Pizzetti sia delle risposte al senatore che delle voci da lui redatte e lettere di alcuni collaboratori10. [...]

 

b) Libri e periodici di interesse musicale

 

La sezione comprende le opere più significative della nascente musicologia italiana (Torrefranca, Casimiri, Della Corte, Gatti, Mila, Pannain, Tebaldini) e gli scritti critici di e su Pizzetti. [...]

 

d) Musica manoscritta

 

I 36 manoscritti autografi di Pizzetti che si conservano nello studio - la maggioranza dei quali non pervenuti con il lascito ma acquistati nel 2000 presso la LIM antiquaria di Lucca - sono costituiti principalmente da lavori di scuola, prove d’esame e composizioni giovanili, già rivelatrici di alcune caratteristiche del linguaggio pizzettiano e quasi tutte inedite: Extase , su versi di Victor Hugo, la prima partitura sinfonica eseguita nel saggio finale del conservatorio il 22 giugno1898, che rivelò le doti del giovane Pizzetti, Canto di guerra dal Fingal di Ossian, per coro e orchestra, con la dedica a Giovanni Tebaldini, pure eseguito in un saggio finale del conservatorio il 27 giugno1899, Kyrie e Gloria di una Messa-oratorio che, assieme a un Sanctus oggi perduto, furono eseguiti nella cattedrale di Cremona il 30 febbraio 1902.

[...] vi sono alcuni autografi di altri musicisti cui Pizzetti, che pur non era raccoglitore di cimeli e non amava possedere autografi, attribuiva grande valore affettivo: fra questi, due mazurke di suo padre Odoardo, due composizioni di Tebaldini, una di Mario Castelnuovo Tedesco, una di Nino Rota e una di Mario Pilati18.

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6.  Sul periodo di apprendistato di Pizzetti si veda: GIOVANNI TEBALDINI, Ildebrando Pizzetti nelle memorie di Giovanni Tebaldini, con prefazione di Adelmo Damerini, Parma, M. Fresching, 1931. Sui rapporti Verdi – Tebaldini: Idealità convergenti. Giuseppe Verdi e Giovanni Tebaldini. Ricordi Saggi Testimonianze Commenti, a c. di A. M. Novelli e L. Marucci, D’Auria, Ascoli Piceno, 2001.

 

    10.  Le voci curate da Pizzetti nell’Enciclopedia sono: Africa (Musica); Bellini, Vincenzo; Composizione (Musica); Declamazione. Declamazione musicale; Pizzetti, Ildebrando; Recitativo; Schubert, Franz Peter; Schumann, Klara Josephine; Schumann, Robert Alexander; Tebaldini, Giovanni; Verdi, Giuseppe; Fortunino, Francesco.

 

18.  Gli autografi di altri compositori sono: Egle. Mazurca per pianoforte,Carolina. Mazurca per pianoforte  di Odoardo Pizzetti, padre del musicista (la seconda datata «Reggio Emilia 1895»), Canto di penitenza, Il sacro poema della Pentecoste di Tebaldini (la seconda datata  «Loreto, Pasqua 1938»), Fantasia e fuga  sul nome di Ildebrando Pizzetti per pianoforte di Mario Castelnuovo Tedesco («Castiglioncello, luglio 1930»), Ippolito gioca di Nino Rota («A Ildebrando Pizzetti per il 20 settembre 1930, Capri, luglio 1930»), Cantico augurale di Mario Pilati («Omaggio a Ildebrando Pizzetti, Cignone, Cremona, giugno 1930»). [...]

 

(Stralcio della relazione pubblicata in PIZZETTI OGGI | ATTI DEL CONVEGNO, a cura di Gian Paolo Minardi per le edizioni della Fondazione Teatro Regio di Parma, marzo 2006, pp. 149-165)

 

* Nardella Raffaella (S. Marco in Lamis, Foggia 1951 – vive e lavora a Parma) si è laureata in Filosofia presso l'Università degli Studi di Napoli e in Lettere moderne (indirizzo musicologico) presso l'Università degli Studi di Parma. Abilitata all'insegnamento nella Scuola media inferiore e superiore e diplomata in Paleografia, diplomatica e archivistica presso l'Archivio di Stato di Parma, dal 1979 opera nella Sezione musicale della Biblioteca Palatina. Si occupa di storia della musica a Parma, partecipando a convegni, mostre e pubblicando saggi su periodici locali.

 

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