Napoli, Conservatorio “San Pietro a Majella”, 5-6 dicembre 2003

 

Convegno

Mario Pilati e la musica del Novecento a Napoli tra le due guerre

 

Relazione di Gianluca D’Agostino su “Pilati, Tebaldini e il culto della musica antica a Napoli”

 

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Tebaldini, Pilati e i cultori della musica antica a Napoli

    Gianluca D’Agostino*

 

 

Eran proprio gli anni in cui, per un pauroso ingorgo di produzione, il mercato della lirica per canto e pianoforte, sconquassato, idropico, franava tra calcinacci. [...]. Di fronte alla diarrea di simile produzione interamente in eccedenza, Pilati bruciava tutto. [...]. Era feroce nel distruggere i prodotti di una cultura orecchiantistica. Declamati accompagnati da armonie sospese sul refe; strofette popolaresche o infantili sparivano inghiottite dalle voragini che il suo lapis rosso e blu apriva d’improvviso sotto i piedi. Di lì a poco, ognuno di noi sentiva emergere spettri toccatistici, e negli anni che seguivano, avvertiva i demoni della sonata**

 

Le principali ragioni che concorsero al recupero della musica antica (s’intende quella pre-bachiana)[1] nell’Italia del primo Novecento sono già state individuate e discusse da Fiamma Nicolodi,[2] Giorgio Pestelli,[3] Francesco Degrada,[4] Piero Santi e da altri.[5] L’istanza nazionalistica soggiace, un po’ a tutti i livelli, a questo recupero, ma non ne esaurisce ogni ragion d’essere. L’antico fu certamente inteso come occasione di riappropriazione del «genio italico»[6] e tramite per rigenerare il presente musicale (essenzialmente verista), sentito ormai come logoro, contrastando al contempo le ‘corruzioni’ della moderna musica europea. Ma oltre a questo punto - che tocca il discorso sul “neoclassicismo” nelle sue varie accezioni e, naturalmente, i protagonisti della cosiddetta «generazione dell’Ottanta»[7] - il sempre vagheggiato “ritorno all’antico” costituì un incentivo alla ricerca scientifica per la nascente musicologia italiana e l’occasione per rivalersi nei confronti degli studiosi d’oltralpe.[8] Infine, ma non ultimo per importanza, l’antico rappresentava una possibilità di rinnovamento del consumo musicale, sia nel senso concertistico (es., il diffondersi di musiche ed esecuzioni corali), sia in quello editoriale.

Le risultanze di questo ampio fenomeno culturale sono eterogenee e spesso contraddittorie. Dietro i facili entusiasmi con i quali i critici salutavano i “concerti storici e spirituali” eseguiti un po’ in tutta la Penisola c’era, fatalmente, l’impreparazione del pubblico con cui fare i conti. Questo in molti casi imponeva soluzioni compromissorie e di comodo, dai programmi ‘misti’ ai tagli nelle partiture, senza contare gli altri anacronismi derivanti sia dall’impiego di trascrizioni ‘pratiche’ troppo disinvolte, anziché di edizioni critiche, sia dalla scarsissime cognizioni di prassi esecutiva.

E d’altronde, chi doveva occuparsi di simili questioni? In un tempo in cui il ruolo del musicologo come studioso della Musikwissenschaft era ancora in Italia in via di definizione, ma già frainteso e osteggiato,[9] il “parlare di musica” - e anche di quella antica - rimaneva appannaggio di quelle influenti figure di musicista-critico pure figlie della stessa “generazione”: Torrefranca, Alaleona, Bastianelli, Balilla Pratella, Toni, Parigi, Benvenuti, Liuzzi, Perinello, Vatielli, quindi Pannain, Della Corte e altri.

Non sorprende che a fare le spese di questa situazione fossero soprattutto le pubblicazioni dei “monumenti musicali”.[10] Se alcune edizioni andavano (bene o male) in porto, come la collana de I Classici della Musica Italiana diretta da D’Annunzio e Malipiero,[11] o gli Opera omnia di Monteverdi a cura di Malipiero per “Il Vittoriale degli Italiani”,[12] o ancora le Istituzioni e Monumenti dell’Arte Musicale Italiana,[13] e le edizioni in facsimile della Musica della “Reale Accademia d’Italia”,[14] molte altre, invece, venivano sempre differite e rinviate, e più spesso scippate da editori stranieri.

Clamoroso è l’esempio dell’Edizione Nazionale delle Opere complete di Palestrina, continuamente invocata ma iniziata di fatto solo nel 1939, per cura di Raffaele Casimiri.[15] È un ritardo notevole, considerando la mole di dibattiti, trascrizioni ed esecuzioni sollecitate anche in Italia dal movimento ceciliano ottocentesco.[16] Sintomatico della lentezza e incertezza dell’editoria musicale italiana in questo campo sono pure altre imprese editoriali, come la ristampa a puntate, nella rivista di Luigi Parigi «La critica musicale» (Firenze, 1918), delle vetuste Memorie storico-critiche della vita e delle opere di Palestrina di Giuseppe Baini (Roma, 1828), riproposte perché «monumento d’italianità che lusinga profondamente il nostro amor patrio». Si consideri, per un raffronto con lo stato degli studi europei, che negli stessi anni il danese Knud Jeppesen andava completando la migliore analisi di sempre del contrappunto palestriniano.[17]

 Se questo è lo sfondo generale della questione, la parte giocata dai Napoletani cultori dell’antico, al tempo in cui Pilati si formava, non è trascurabile. Anche su questo tema ci sono consuntivi recenti[18] e altri spunti si possono ricavare dagli Atti del convegno su Alessandro Longo.[19] Proprio Longo (1864-1945), il celebre pianista e didatta, curatore delle Opere complete per Clavicembalo di Domenico Scarlatti, criticamente rivedute e ordinate in forma di suites (!)[20] è stato visto come esempio paradigmatico del recupero dell’antico all’ombra del Vesuvio.[21] Un recupero che qui si connotava di una spiccata valenza affettiva indotta dal senso di appartenenza alla tradizione locale e al mito della “scuola musicale napoletana” sancito dal Florimo e da altri storiografi ottocenteschi. In questo senso vanno citati anche altri musicisti che si distinsero per la forte vocazione teorico-didattica: dal “caposcuola” Pietro Platanìa (1828-1907),[22] a Nicola D’Arienzo (1842-1915), noto anche per i suoi studi di musica napoletana sei-settecentesca,[23] a Camillo de Nardis,[24] quindi Gennaro Napoli, Antonio Savasta (maestro di Pilati), fino a  Emilia Gubitosi[25] e Franco M. Napolitano (sui quali si tornerà più avanti). Ma altrettanto importanti furono i contributi storico-documentari di chi, come Salvatore Di Giacomo,[26] Michele Scherillo[27] o Ulisse Prota-Giurleo,[28] interpretò il verdiano «tornate all’antico»[29] e la stessa lezione di Florimo come appelli a perseguire, in modo più organico e rigoroso che in passato, l’indagine sui ricchi fondi musicali locali.

Saranno tutte queste le «coscienze mature, esaurienti», sulle quali, per dirla col suddetto Gavazzeni, anche Pilati basò la sua solida e precoce cultura musicale, «tradizionale, tutta napoletana, che può continuare per diverse generazioni, per lunghi spazi di tempo». E dalle quali forse mutuò l’intenzione di cimentarsi anch’egli, stando alla testimonianza dell’amico Achille Longo,[30] in «una rivalutazione della Scuola napoletana, in stretta comunione di intenti» (un non meglio precisato progetto che, come purtroppo altri, venne troncato dalla sua precoce scomparsa).

Concordo, quindi, con Agostino Ziino, secondo il quale la «coscienza storica della musica del passato» a Napoli «non è tanto memoria... né... recupero, quanto la consapevolezza che l’esperienza musicale presente, attraverso una linea continua e mai interrotta, affonda le sue radici in quella passata».[31] Ma pur nella continuità, dei distinguo vanno fatti. Una menzione particolare spetterebbe, ad esempio, a Guido Pannain (1891-1977), l’influente critico e musicologo, titolare della cattedra di storia della musica al Conservatorio di Napoli dal 1915 al ‘47, dove insegnò anche a Pilati (i rapporti tra i due furono - come dirà lo stesso Pilati - «notoriamente cordialissimi», almeno fino a quando Pannain non recensì negativamente, su «La Rassegna Musicale» del novembre 1931, la Sonata per flauto e pianoforte di Pilati, Premio Coolidge 1927).[32]

Pannain oggi è ricordato per le sue sintesi storico-musicali di marca idealistica, oltre che per gli scritti critici, spesso acuti e lungimiranti, sulla musica italiana otto-novecentesca.[33] Ma anch’egli aveva esordito con indagini sulle origini della “scuola napoletana”, condotte comunque con ben altro piglio filologico e competenza paleografica, tali da consentirgli di trascrivere e analizzare molta musica neumatica, modale, mensurale e rinascimentale.[34] Già notevole è il giovanile opuscolo derivato dalla sua tesi di laurea, La teoria musicale di Tinctoris, in cui l’autore, pur lamentando che «la paleografia musicale per i Napoletani è come una scienza occulta», riesce in un’attenta disamina e parziale traduzione dei trattati del fiammingo, allora considerato come «fondatore della scuola napoletana». E si tratta davvero di un lavoro pioneristico se si pensa che, dall’infida edizione per opera del Coussemaker del 1876, Tinctoris era rimasto praticamente chiuso sullo scaffale.[35] Pioneristico è, quindi, il Pannain nella sua riappropriazione del Tinctoris ‘napoletano’, ma anche anticipatore di un filone di studi, quello sulla polifonia pre-palestriniana, che in Italia, diversamente che nel resto d’Europa e poi in America, rimase troppo a lungo negletto.[36]

In questo senso (e solo in questo) a Pannain si potrebbe affiancare Ugo Sesini, studioso più schivo ma non meno competente,[37] il quale divenne napoletano di adozione, poiché fu zelante bibliotecario del Conservatorio dal 1939 al ’42 (prima di abbandonare la città sotto i bombardamenti, tornare al Nord e unirsi alla Resistenza antinazista, finendo però per essere catturato e deportato a Mauthausen, dove morì). Colpisce qui un suo resoconto intitolato Un dono della Principessa Aragona Pignatelli Cortes,[38] che narra di come egli non esitò a spendere la somma di 10.000 lire, donata alla biblioteca dalla nobildonna, per l’acquisto della serie dei Denkmäler der Tonkunst in Österreich (DTO), editi a Vienna da Guido Adler dal 1894. Notava infatti il Sesini che la biblioteca napoletana era sì, gloriosamente piena dei compositori locali e di tante collezioni, ma ancora priva di molta letteratura musicologica e di edizioni di musica medievale: [39]

così che provvedendovi, quei nomi di Dunstaple, Ciconia, Zacaria, Dufay, Io. Martini, Leonel [Power], ecc., che sono solo passati innanzi agli occhi dello studente nei testi di storia della musica, potranno prendere una qualche consistenza artistica al suo orecchio.

Ma oltre ai libri e agli archivi, il culto dell’antico a Napoli fu anche un fatto di consumo musicale. In tal senso la svolta reca la data del 1919, anno di fondazione dell’Associazione «Alessandro Scarlatti». Questa sorse, come si legge nel programma d’intenti dei suoi primi fondatori - de Sanna, Gubitosi, Di Giacomo (e con una “commissione artistica” formata dai maestri Cilèa, Tebaldini, Gennaro Napoli, Pannain, Napolitano, e il sostegno morale di svariati intellettuali partenopei, da Matilde Serao a Angelo Conti, a Saverio Procida) - come una nuova Società corale[40] e con l’intenzione di rinnovare «le glorie della nostra antica Scuola napoletana, il suo genio inventivo, la sua delicata classicità, gli incanti della sua inesauribile melodia».[41] Forte e professato, come si vede, è il legame tra la nascente istituzione concertistica e il fermento di indagini musicologiche locali: d’altronde, il vero nume tutelare dell’Associazione, nonché suggeritore della stessa intitolazione a Scarlatti, era proprio Salvatore Di Giacomo.[42]

A quest’evento è connessa la venuta di Giovanni Tebaldini (1864-1952) a Napoli, dove fu invitato, appunto, a dirigere i primi concerti della “Scarlatti”. Erudito musicista formatosi alla Kirchenmusikschule di Ratisbona, esperto organista (amico di Marco Enrico Bossi, insieme al quale scrisse un fortunato Metodo di studio per l’organo moderno), corrispondente e consulente di Verdi[43] e di altre personalità musicali di primo piano (Haberl, Haller, Dubois, Pedrell, Martucci), maestro di Pizzetti,[44] consigliere musicale di Papa Pio X, Tebaldini in Italia godeva di un’alta fama nel campo della musica sacra; fama conquistata con centinaia di recensioni, saggi e conferenze, di trascrizioni e “concerti spirituali” a tutte le latitudini, oltre che con continui interventi per la riforma della musica sacra.[45] Per questi motivi, oltre che per i suoi discreti rapporti con l’ambiente musicale partenopeo (Cilèa in testa),[46] l’allora Maestro della Cappella lauretana dovette sembrare la giusta ‘eminenza grigia’ da coinvolgere nell’impresa “Scarlatti”.

Fu Di Giacomo ad invitarlo a Napoli. La loro conoscenza risaliva al 1916, quando il poeta-scrittore si dedicava alla «scoverta» di musiche dei maestri dell’antico Conservatorio dei Poveri di Gesù Cristo, custodite nell’Archivio dell’Oratorio dei Filippini. Di Giacomo conosce Tebaldini solo di nome e il 2 luglio gli scrive chiedendo il suo parere su alcune musiche «d’ignoti maestri, e alcune inedite del Provenzale, del Caresana, etc.» da lui scoperte.[47] In una successiva lettera (6 luglio 1916) egli specifica:

Dello Scarlatti ho trovato pezzi forse inediti: qualcuno pure di Domenico. Del Provenzale parecchie composizioni. Del Caresana (di cui il Conservatorio di S. Pietro a Majella ha poco) non meno di 300 composizioni manoscritte, e autografe.

E si dichiara deciso a sollecitare l’interesse dei Padri Filippini per far pubblicare «quella musica chiesastica a un editore», conscio, del resto, che «in America ci sono editori di musica somigliante», e che sarebbe ormai tempo di organizzarsi anche in Italia «per far cose belle per la nostra antica musica».

Il 20 luglio Di Giacomo invia a Tebaldini alcune composizioni da lui ricopiate, per lo più di Francesco Anzalone, scusandosi per gli «errori che avrò fatto io: non conosco musica», e chiedendogli di nuovo consiglio su qualche «grande editore, anche estero, per la pubblicazione di questa musica». Sei giorni dopo gli annunzia l’invio di altra musica ricopiata e lo informa del progetto di un suo libro (che sarebbe divenuto la storia dei quattro Conservatori napoletani), del quale propone a Tebaldini di redigere la parte tecnica: «un libro, dovrebbe essere, dilettevole e culturale. Dopo la guerra, s’intende». Ma da una successiva lettera (1° agosto) si comprende che il musicista bresciano declinò l’invito per i troppi impegni, consigliando a Di Giacomo di rivolgersi a musicisti locali («maestri cólti [...] vicini a me e a quelle carte»), nella fattispecie a Gennaro Napoli, Savasta e Cilèa.

Di Giacomo spera comunque di conoscerlo in un prossimo futuro, magari tramite il maestro Cilèa (allora insediatosi alla direzione del Conservatorio), dal quale - si legge tra le righe - Tebaldini vorrebbe essere ricevuto (per un incarico d’insegnamento? conferenze? concerti?). In merito, il 17 ottobre Di Giacomo gli scrive:

Ho visto il Cilèa che sarebbe lietissimo di averLa qui [...]. Proponga al Cilèa qualche cosa di concreto, e dica che cosa abbisognerebbe. Cori? Esecutori quanti? E si potrebbe anche tentare per le cose dei Filippini?

Si direbbe quindi che già allora si pensasse a una venuta di Tebaldini a Napoli per dei concerti. A questo punto, però, la corrispondenza s’interrompe, riprendendo con una lettera di Di Giacomo del 12 novembre 1918, a guerra ormai finita. Chiosa il poeta in modo memorabile:

 L’Italia è fatta una seconda volta: bisognerà rifare gli Italiani! Lavorare, lavorare – e così onorarla!  

Nella stessa, egli chiede a Tebaldini se abbia letto il suo recente Catalogo musicale della Biblioteca dei Filippini e, se sì, se fosse così gentile da recensirlo. Inoltre, per la prima volta si fa cenno ad Emilia Gubitosi («una distinta musicista»), la quale da parte sua desiderava coinvolgere Tebaldini o, per meglio dire, le sue già celebri trascrizioni di musica antica, nell’incipiente progetto «Scarlatti» e nei concerti inaugurali.[48] Dopo l’iniziale scetticismo di Tebaldini al riguardo, il 10 gennaio 1919 Di Giacomo può finalmente scrivergli: 

Caro amico, godo che vi siate messo di accordo con la Gubitosi che io qui rinfocolo ogni volta che la vedo. Bisognerà poi appressar fuoco ai Filippini di Napoli. Del Dentice qualche scelto madrigale sarebbe acconcio. Certo occorre non dimenticare que’ napoletani [...]. Ma ne riparleremo. Vedo che preparate un bel programma e che lo si potrà illustrare con entusiasmo. 

Del resto, la sede dei concerti è ancora da scegliere, come si rileva da queste incertezze di Di Giacomo: «Credo che la Croce di Lucca sia armonica: è una bella sala Seicento, ma bisognerebbe riattarla bene»; ma poi, invece: «pensavo anche alla bella chiesa dei Filippini, che forse otterremo». E sugli stessi programmi non si è giunti alla scelta definitiva. Da parte sua, Di Giacomo ancora spera ardentemente che Tebaldini opti per musica napoletana, e il 23 gennaio 1919 tenta di convincerlo: 

Di Scarlatti ai Filippini ho due o tre cose che mostrerò alla Gubitosi: una ne pubblica una rivista che uscirà fra breve. Una Pastorale. Una Cantata e non so più che altro [...]. Andrò a udire il Minuetto del Traetta. Se volete che vi mandi le copie delle cose di Scarlatti lo farò. Ho anche cose del Provenzale e di altri. 

Le successive lettere informano di un piccolo giallo, presto risolto, relativo al momentaneo smarrimento di un pacco spedito da Tebaldini a Di Giacomo, contenente anche le partiture del Traetta e del Cavalieri, cioè delle musiche che sarebbero state eseguite alla “Scarlatti”. A questo punto è ormai chiaro che la scelta delle musiche è stata fatta, e che Tebaldini ha optato per programmi già ampiamente collaudati altrove (a Roma, Milano, Bologna, ecc.), con scarsa presenza di musica napoletana: Emilio de’ Cavalieri, Peri e Caccini, Carissimi, il solo minuetto di Traetta, una Sonata di Scarlatti, e qualcos’altro.

Comunque, il risalto e la pubblicità che la “Scarlatti” ottiene sulla stampa cittadina sono notevoli: 

[Era] indispensabile che al nome del gran maestro antico, dal quale la nuova Associazione ha tratto i suoi favorevoli auspicii, se ne aggiungesse subito uno che, fra quelli dei maestri viventi, desse affidamento sicuro […]. E il nome di Giovanni Tebaldini venne spontaneamente alla bocca di tutti coloro […] i quali conoscono l’eccezionale competenza, unica anzi nel gener suo, il geniale intelletto, l’indomita energia dell’insigne maestro bresciano […]. [E’ venuto] ad assumere la direzione dei primi concerti della “Scarlatti”, per i quali ha saputo scegliere programmi, che da soli attestano tutto il suo finissimo gusto e la sua consumata perizia e dei quali occorre pubblicamente ringraziarlo per le fonti d’alto diletto che ha dischiuso a noi.

Così, in un articolo su «La Nuova Rivista»,[49] Tebaldini viene enfaticamente presentato ai lettori napoletani, in quello che appare come uno dei primi profili a lui dedicati (uno precedente lo aveva redatto l’Alaleona nel 1916, un altro sarà dello scrittore Federico Verdinois nel 1924, e un terzo, in toni più oggettivi, lo scriverà lo stesso Pilati nel 1929).[50]

Fuor di retorica, le «fonti d’alto diletto» dischiuse al pubblico della “Scarlatti” nelle stagioni 1919-‘20 furono svariate, ma si possono sintetizzare nei seguenti concerti storici:[51]

 -  8 aprile 1919, Concerto inaugurale (con repliche il 14 e il 28), chiesa di San Paolo Maggiore:

Rappresentazione di Anima e Corpo, di Emilio de’ Cavalieri, per soli, coro e orchestra (trascr. Tebaldini) (dir. Tebaldini; m° del coro Gubitosi). Altri brani eseguiti: Passio Sacra, a 4 voci, di Francesco de Ana (Francisci Veneti, sec. XV-XVI); Laude spirituale, a tre voci, di Giovanni Animuccia; Fuga in sol minore, attr. a Girolamo Frescobaldi (trascr. di Tebaldini per orchestra).[52]Altri brani nelle repliche: Aria dall’Oratorio Historia Ezechiae, e Recitativo per soprano e coro dall’Oratorio Jefte, di Carissimi; Sonata, per archi, oboe ed organo, di Giambattista Bassani; Surrexit Christus, Mottetto di Pasqua, a 3 voci con strumenti, di Giovanni Gabrieli; Due Laudi spirituali,  di G. Francesco Anerio.

 

- 20 giugno 1919, S.ta Croce di Lucca (dir. G. Napoli, m° del coro Gubitosi; trascrizioni di Tebaldini):

Sonata, per violoncello e cembalo, di Domenico Gabrielli; Marco da Gagliano, Invocazione a Giove dalla Dafne; Villanella napolitana di Baldassarre Donato; Serenata per soli, coro femminile e orchestra, di Alessandro Scarlatti.

 

- 28-30 gennaio 1920, Teatro R. Politeama Giacosa (dir. Tebaldini, m° del coro Gubitosi, al cembalo Franco M. Napolitano):

Euridice di Jacopo Peri e Giulio Caccini (trascr. Tebaldini).

 

- 5 e 7 marzo 1920, Croce di Lucca (dir. F. M. Napolitano):

Canzona, per due orchestre d’archi, di Giovanni Gabrieli; Tre Canzonette, di Orazio Vecchi; C. Monteverdi, brani da L’Incoronazione di Poppea; Concerto in la magg. per vl. archi e cemb., di Vivaldi; Minuetto cantato per sopr. e orch., di Tommaso Traetta; brani da La virtuosa in Mergellina, di Pietro Guglielmi).

- 12 aprile 1920 (replica il 14),  S. Paolo Maggiore  (dir. Tebaldini, m° del coro Gubitosi):

Jephte, Oratorio per soli, coro e orchestra, di Giacomo Carissimi (trascr. Tebaldini, 1919).

Altri brani: Regina coeli laetare (Mottetto di Pasqua), a 4 voci, di Antonio Lotti; Due Salmi (XXI e XLII), per tenore, archi e organo, di Benedetto Marcello; Introduzione alla Cantata dell’Ascensione, per oboe, archi e timpani, di Baldassarre Galuppi.

Altri brani nelle repliche: Canzoncine spirituali, per coro femminile e archi, di Giuseppe Tartini; Pueri Hebraeorum, Mottetto a 4 voci, di G. P. da Palestrina.

 

- 13 e 16 maggio 1920, Teatro San Carlo (dir. F. M. Napolitano):

C. Monteverdi, Orfeo (trascr. di Giacomo Orefice, prima esec. Milano, 1909).

Altri brani: Paisiello, brani dal Barbiere di Siviglia; Rossini, brani da L’Assedio di Corinto.

A questi seguirono altri concerti nelle stagioni successive, con o senza la presenza di Tebaldini, ma ispirati alla virata “antichista” da lui impressa a Napoli.[53]

Sarebbe eccessivo soffermarsi su ciascun concerto, o anche solo esaminare partitamente le tante recensioni e le reazioni destate in città.[54] Comunque, lo stato d’animo dei critici locali, anche troppo partigiani, si può cogliere nel seguente commento di Augusto Guzzo, attento corrispondente da Napoli per «La Critica musicale»:[55] 

È ormai un ventennio che ci si satura di sinfonismo. Sappiamo a memoria tutto Beethoven; i minori ci sono notissimi. Conosciamo i russi, i boemi, i francesi modernissimi. Altro ci vuole ormai [...]. È il momento del ritorno ai nostri antichi secoli [...]. La “Scarlatti”, facendosi organo di questo ritorno all’antico, assume una funzione storica [...]. Nel corso di un anno, il coro della “Scarlatti” è divenuto compatto, omogeneo [...] il che, a Napoli, città anarchica, è tale prodigio, che lode amplissima va tributata al fervore della signorina Gubitosi. Ma l’idea più felice [...] fu quella di incamerare una delle forze più sveglie e meglio preparate in fatto di riedizione delle antiche musiche, [...] il Kapellmeister di Loreto [...] Il criterio del Tebaldini è di presentare, di queste musiche, le linee maggiori e più salienti, [...] di scegliere, di ciascun’opera, i brani più significativi, curando che costituiscano anche così uno sviluppo unitario e comprensibile.

E se qualcuno avvertiva che, nel caso dell’Euridice, «il maestro Tebaldini ... ha creduto di potersi concedere qualche licenza nel colorire, occorrendo, le tinte dello strumentale», alla fine si riconosceva che ciò, «del resto, sarebbe stato in ogni caso indispensabile ai fini dell’attuazione pratica d’una rappresentazione per i nostri giorni».[56]

O se altri (come Della Corte) criticavano, della trascrizione della Rappresentazione del Cavalieri, l’«aver alterato l’ordine dei pezzi e la strumentazione», nonché i «soverchi tagli», tuttavia presto si conveniva che anche così «non mancò al folto pubblico la percezione di un’opera d’arte piena di poesia e di pregi».

Si osservi, quindi, la trascrizione per canto e clavicembalo di Tebaldini [Es. Mus. 1] della prima strofa del Prologo dell'Euridice di «J. Peri e G. Caccini» (Tebaldini dichiara l’opera di entrambi gli autori, senza distinguere tra le due partiture), confrontata con le edizioni a stampa degli originali, rispettivamente, di Peri [Es. Mus. 1 bis] e di Caccini [Es. Mus. 1 ter]. Si noterà - oltre alle solite armonizzazioni sovrabbondanti e ad altre licenze palesi - che il modello musicale seguito (tacitamente) è quello di Peri, ma trasportato di un tono (da Fa a Sol maggiore) proprio come in Caccini; per cui il passaggio Mib-Do in Peri (bb. 7-8) coincide con quello Fa magg.-Re nella trascrizione (bb.9-10), mentre la modulazione al Re minore di Tebaldini (b.5: «Spars' or di doglia») è una coloritura armonica efficace, ma non legittimata dall’originale: 

 

[Es. Mus. 1]

 

              

 

[Es. Mus. 1 bis]: Peri

 

              

 

[Es. Mus. 1 ter]: Caccini

 

 

E anche a proposito della Rappresentazione del Cavalieri, gli appunti preliminari che Tebaldini vergò per la sua versione dell’opera[57] sono rivelatori del suo metodo ‘pragmatico’: un metodo che, per quanto sorretto da forte musicalità, non disdegnava sacrificare la filologia testuale alle ragioni di una «teatralità» propria della «sensibilità moderna». In nome di essa furono previsti molteplici tagli e spostamenti: gli stessi che, in definitiva, renderanno l’edizione a stampa della Rappresentazione curata da Tebaldini, un modello di infedeltà alla partitura originale.[58] Ecco, ad esempio, alcune sue osservazioni: 

Il n° 15 Coro [Il Ciel clemente ogn’hor] inutile: bello soltanto il breve ritornello d’orchestra:

[...] 

IIa scena [...]: dialogo alternato fra Mondo – Corpo – Anima – Angelo CustodeVita mondana:

è manchevole di qualsivoglia elemento teatrale e non è, a sua volta, che pura e semplice predica morale con parole che [...] non si potrebbero certamente far ripetere senza pericolo di cadere nel puerile e nel grottesco. Musicalmente però si riscontrano brani assai interessanti perché intensamente espressivi e sempre intonati ad un modo di declamazione che senza dubbio ha influito – sebbene egli l’abbia negato – sullo stesso Wagner della maniera del Tannhäuser e di Lohengrin [...]. Quanto canta ad esempio Vita mondana appare efficace:  

 

[Es. Mus. 2]

 

                   

 

E può prestarsi a sviluppi e ad armonizzazioni oltremodo espressive [...] 

Si confronti, inoltre, la trascrizione di Tebaldini del principio del famoso Duetto Anima e Corpo («Anima mia che pensi?»)

[Es. Mus. 3], con quella (posteriore) di Malipiero del medesimo passo (dalla Raccolta Nazionale delle Musiche Italiane) [Es. Mus. 3 bis]. Si converrà che quest’ultima risulta migliore, soprattutto in virtù della maggiore chiarezza armonica.

 

[Es. Mus. 3]

 

              

 

[Es. Mus. 3 bis]

 

           

 

Comunque sia, ben pochi recensori sembrarono badare a due fattori di per sé evidentissimi, e cioè: che in nessun caso quelle di Napoli erano prime assolute, ma spettacoli ampiamente collaudati in altre città; e che ben poche erano state le esecuzioni di opere genuinamente napoletane, come invece avrebbe voluto Di Giacomo. Del resto, Tebaldini si era sempre professato specialista della Scuola Veneta e di quella Romana, con spiccati interessi per la Camerata Fiorentina (interessi peraltro condivisi da molti altri, per via della questione delle origini dell’opera italiana). A proposito, invece, della scuola napoletana, così si esprimerà in una più tarda lettera a Ildebrando Pizzetti: [59] 

[…] Ebbi l’estratto del tuo articolo da la Nuova Antologia.([60]) Bellissimo e coraggiosissimo, Abbiati deve essere assai contento. Finalmente la verità. Era ora. Questi snobs innamorati del lezioso 700… sistematici denigratori di tutto l’800 soltanto perché non l’hanno ancora compreso, meritavano la lezione che hai loro data.

Faccio però le mie eccezioni su Marcello.

Lo dico a Te come lo dirò a l’Abbiati. Ti elencherò i Salmi da me fatti eseguire, e se rileggerai vedrai che Marcello era ben lontano dai compositori infrolliti del suo tempo. I napoletani poi, mi sono quasi indigesti!

Dopo Alessandro Scarlatti, che discesa! Si sono salvati quelli che passavano a Venezia, Cimarosa e Traetta. Di quest’ultimo conosco poche cose, ma belle, eleganti ed anche sentite.

Tu dovresti leggere… Zingarelli… per farti un’idea del come concepissero la musica in quegli anni. Saltiamo indietro di due secoli: a Palestrina. E quindi usciamo a riveder le stelle!  

In questo senso, perciò, l’originaria missione della “Scarlatti” veniva almeno in parte disattesa, e il suo effettivo compimento rinviato. Bisognerà attendere, direi, i giorni nostri per vedere compiute quelle originarie intenzioni, con le splendide affermazioni concertistiche e discografiche di Antonio Florio e della sua Cappella della Pietà dei Turchini.

Allora, comunque, si batterono altre strade. Nel «salto indietro a Palestrina», per esempio, Tebaldini riuscì a coinvolgere diversi amici napoletani. Una prova dell’affiatamento crescente con la Gubitosi è rappresentata dalla trasferta a Ravenna (Chiesa di S. Apollinare) per la cosiddetta Trilogia sacra dantesco-palestriniana, ivi eseguita il 17 settembre 1921, per il Sesto Centenario Dantesco, da un coro di 80 voci composto dal coro femminile della “Scarlatti” e da altre compagini tra le quali la Cappella Lauretana.

La partitura reca la didascalia: «Trascrizione di melodie gregoriane, mottetti ed inni di Giovanni Pierluigi da Palestrina, a commento delle Cantiche Dantesche, nella visione immaginata ed espressa da Giovanni Tebaldini». Si tratta, quindi, di un’operazione che, per quanto oggi possa apparire discutibile, trovava piena giustificazione nel fervore di neo-misticismo animante molti artisti del tempo (es. Pizzetti) e che infatti fu coronata dal successo di pubblico e critica, e più volte replicata.

Il cortocircuito Palestrina-Dante, un’evidente falsa sincronia, fondava sulla convinzione, espressa da Tebaldini in più occasioni ed anche in una sua lezione palestriniana tenuta al Conservatorio di Napoli nel 1925, che: 

l’opera del grande Pierluigi va accostata non al periodo appena successivo al rinascimento umanistico in cui è nata […] bensì sotto le arcate gotiche e bizantine dei secoli anteriori e quindi [...] alle sublimi visioni concettuali contenute nell’Opera di Dante. 

Più diffusamente, nella introduzione alla Trilogia Sacra per la Prima ravennate, egli così argomentava: 

[...] il canto gregoriano e la polifonia palestriniana. Del primo Dante conobbe indubbiamente le intime e profonde bellezze, [...] tanto da ricordarlo [...] in molti tratti del Purgatorio e del Paradiso. La seconda trae dalle melodie gregoriane la sua essenza ideale, mentre nella stessa ideazione architettonica e nella costruzione tecnica [...] si sviluppa in assoluta concordanza estetica [...] con gli stessi versi del divino Poeta. [...]. Il Palestrina non ha rivestito di note musicali alcun verso del Divino Poema [...]: né [...] parve egli ispirarsi direttamente alle visioni dantesche. Nondimeno l’opera sua, ricca, vasta e complessa (nei Mottetti specialmente e negli Offertori in cui l’elemento liturgico si fonde grandiosamente con l’elemento lirico ed umano) ne fornisce prove sicure atte a rintracciare la palese corrispondenza ideale che corre con le [...] visioni del Divino Poeta. […]. Nell’accostare il canto gregoriano e la polifonia di Pierluigi ai versi immortali di Dante, intendesi pertanto di illustrare con la musica l’idea ispiratrice ed animatrice [...] della Divina Commedia.

Ma in fondo questa era una tesi comune del tempo, condivisa, ad esempio, da Francesco Balilla Pratella o Giannotto Bastianelli.[61]

A Napoli furono eseguite le musiche relative alla sola cantica del Paradiso,[62] nel maggio 1924 e sempre per i concerti della “Scarlatti”, unitamente a brani di ‘neo-mistici’ come M. E. Bossi, Pizzetti e lo stesso Tebaldini: 

- 15 maggio 1924, Chiesa del Carmine Maggiore (dir. Tebaldini):

G. Tebaldini, Marche grave sul tema gregoriano Vexilla regis prodeunt per organo; Super flumina Babylonis, Mottetto per coro; brani dalla Trilogia sacra (Paradiso); M. E. Bossi, Hora mystica; Hora gaudiosa; I. Pizzetti, Tenebrae factae sunt, Mottetto a sei voci; Sanctus dalla Messa di Requiem (1922).

Ma già nel dicembre 1921 Emilia Gubitosi aveva inserito in un suo concerto per la “Scarlatti” - probabilmente su consiglio di Tebaldini - tre brani vocali di Palestrina. In proposito il solito Augusto Guzzo rimarcava: 

Il pubblico è così poco avvezzo a questo genere di musica che vuole attendersi dal Palestrina quello che il Palestrina non può dargli [...] slanci di passione e impeti romantici di sentimento [...]. Né quaggiù si è avvezzi a godere la musica come musica pura, come puro tesoro di suoni [...]. Perciò il Palestrina è ancora gustato poco; ma per ciò appunto ogni esecuzione palestriniana è una buona azione, che si compie per la dilatazione del gusto musicale del nostro pubblico. [63] 

Queste esecuzioni palestriniane segnarono in effetti una (seppur breve) stagione di interesse napoletano per la polifonia sacra. E non è un caso che tale stagione coincida con il periodo di più intensa attività di Tebaldini in città, il quinquennio 1925-1930 (e di nuovo nel 1933), quando cioè Cilèa gli affidò un insegnamento straordinario di «Cattedra Palestriniana e Canto gregoriano» in Conservatorio. Di tale incarico - del tutto privo di precedenti così come di riprese successive - non sono rimaste, in verità, molte tracce, se eccettuiamo alcuni «Discorsi commemorativi» pronunciati nel Conservatorio, come quello del 12 maggio 1925 per celebrare il IV Centenario della nascita di Palestrina. [64]

            Parallelamente, Tebaldini tenne conferenze per la “Scarlatti”, spesso a guisa di prolusione ai concerti da lui stesso diretti (su “La camerata fiorentina”, “La musica spirituale”, “Marco Enrico Bossi”, “Alessandro Scarlatti”) e diresse concerti anche fuori città (es., a Montecassino, alla guida di una «Schola Cantorum» dell’Abbazia benedettina). Nella primavera del 1929 tenne anche un ciclo di pubbliche «Lezioni di cultura musicale» nella Sala Martucci del Conservatorio, sempre sui suoi ‘cavalli di battaglia’:  

Il canto gregoriano nella storia, nella liturgia e nella poesia;

Teoria, estetica e pratica del canto gregoriano;

Il canto gregoriano nella polifonia vocale e nella musica per organo;

L’elemento gregoriano nella musica moderna;

Della tradizione, dell’evoluzione e dell’individualismo nell’arte. 

Inoltre, fu chiamato a far parte di svariate commissioni d’esame e di concorso, per le classi di organo, composizione e canto. A tale riguardo, in una lettera del 18 settembre 1929, Cilèa chiede la sua disponibilità ad essere inserito in una Commissione di concorso per Armonia e Contrappunto. Questo concorso dovrebbe essere proprio quello che vide Pilati vincitore: infatti quest’ultimo, reduce dal soggiorno a Milano, ottenne al Conservatorio di San Pietro a Majella l’incarico di Armonia e contrappunto principale (la cattedra già tenuta da Gennaro Napoli) dal 1930 al 1933.

È questa, dunque, la data d’inizio dei rapporti tra Tebaldini e Pilati? Senza dubbio, il corposo e documentato profilo Giovanni Tebaldini redatto da Pilati nel 1929 per il «Bollettino Bibliografico Musicale» di Milano, è un segno di stima e amicizia. Ciò viene confermato dalla corrispondenza epistolare intercorsa tra i due, della quale conosco esempi del periodo ottobre-novembre del ’29 (cioè proprio quando Pilati attendeva alla compilazione del profilo biografico), ed uno del dicembre 1934.

In una lettera (4 ottobre ’29, da Roma) Tebaldini gli scrive, oltre a molti ragguagli sul suo passato utili all’inchiesta di Pilati, di non trovarsi più a suo agio a Napoli: 

Lunedì o martedì andrò a Napoli per i soliti esami. Vado a malincuore per non mostrarmi indifferente alle premure dell’amico Cilèa. Ma il più grande desiderio mio sarebbe quello di nascondermi perché oramai mi trovo male dappertutto. 

E in una successiva del 26 ottobre, lo mette in guardia sui limiti di quell’ambiente musicale nel quale Pilati si accingeva a tornare: 

Le mie considerazioni in merito all’ambiente musicale partenopeo, L’avranno per lo meno fortificata e resa vigile contro ogni attentato. Ma intanto Ella avrà modo di formare la sua scuola. Quella di armonia e contrappunto già esistente a San Pietro a Majella è quasi abbandonata. Quando gli allievi diventano coscienti cercano di andarsene [...]. Solo per praticare e diffondere le sane idee nuove [...] cioè antiche, a Napoli occorrerà forza, costanza, audacia, perseveranza, coraggio e fede indiscussa. Ella è giovane e tutto questo possiede [...]. Io vorrei augurarmi [...] di poter integrare, in certo qual modo, la mia classe con la sua. Ma quale classe? La mia, non essendo io tornato l’anno scorso, è stata trasformata in altra [...]. Esame critico di Palestrina, di Bach, di Beethoven, di Schumann, di Brahms, ecc.? Cose da mettersi in soffitta. Il mio canto gregoriano? Tempo perso. L’anno passato nelle mie cinque lezioni [...] parlai alle poltrone [...] ed agli allievi sforzati e svogliati [...]. Dei professori l’anno scorso non ebbi presenti alternativamente che Franco Michele [Napolitano], Cotrufo ed Achille Longo. Gennaro Napoli trovò modo di sfruttarmi in una mia trascrizione gregoriana ... ma non di apparire ad una mia lezione [...]. A Napoli la musica può, dalla maggioranza, essere considerata ancora dal punto di vista canzonettistico. Viceversa, esiste una discreta falange di giovani di alto sentire, di capacità meditativa seria e profonda. 

Le successive lettere di Tebaldini (novembre 1929) riferiscono più dettagliatamente delle sue relazioni con i musicisti del tempo e alludono con frequenza al rapporto con Pizzetti, personaggio assai ammirato da Pilati (che gli era anche riconoscente per gli anni di Milano e per la collaborazione con Casa Ricordi), dal quale invece Tebaldini non si sentiva in quel momento sufficientemente ripagato (dell’antico affetto e delle tante attenzioni dedicategli): 

Io – convinto di far bene – ho dato a P[izzetti] una parte del mio spirito. È vero che per causa sua a me è stato dato di compiere una azione che ha avuto ed ha [...] la sua continuità ed efficacia (lo provi la stessa di Lei apparizione sul mio cammino quando potevo credermi ormai condannato all’oblio); ma è altrettanto vero che da me P[izzetti] ha avuto qualche cosa di spiritualmente capace di nutrimento, mentre io da lui non ho ricevuto che lo stimolo [...] alla dedizione.              

Gli anni di Parma, la campagna denigratoria contro di lui, costituiscono pure il refrain, rancoroso ma comprensibile da parte di Tebaldini, di queste lettere.[65] Ad un increscioso episodio della sua carriera di insegnante egli lega anche i napoletani Platanìa, D’Arienzo e de Nardis. Questi ultimi, infatti, insieme con Scontrino, Dubois, Gedalge e Zuelli, furono tra i musicisti che si erano pronunciati in suo favore al tempo di una controversia accademico-musicale - proprio à la Padre Martini contre Eximeno - avuta con un Telesforo Righi, docente di Armonia e contrappunto (maestro di Pizzetti) al Conservatorio di Parma durante la direzione di Tebaldini. Stando al racconto di Tebaldini, durante un “esame di revisione” in composizione egli si avvicinò a un allievo intento a scrivere la risposta ad un soggetto di Fuga dato, in re minore, e, trovandola errata, gli corresse la risposta ‘tonale’. Scrive infatti a Pilati: 

Ella voleva conoscere i due soggetti di fuga di cui ho dovuto occuparmi. Quello di Pizzetti non l'ho con me; l'altro lo ricordo bene: 

 

 [Es. Mus. 4:  soggetto di fuga]

 

                         

 

Io sostenni la tesi della risposta col do naturale, cioè terza minore; l’insegnante Righi voleva il do diesis, terza maggiore, non ammettendo altra soluzione. Da ciò il bailamme che mi ha fatto dichiarare, dai giornalucoli di Parma... per un inetto. 

E la stessa infamante accusa - di non conoscere la musica, in effetti - gli mossero anche alcuni «barbagianni» (come li chiama Tebaldini) napoletani.

Lo svolgimento di quella fuga, così come suggerito da Tebaldini durante l’esame, non lo abbiamo, ma potrebbe essere stato qualcosa del genere: 

 

[Es. Mus. 4 bis: l’iniziale svolgimento della fuga]

 

             

 

In ogni caso, al contrappuntista Pilati la vicenda dovette interessare parecchio, tant’è vero che egli annotò in calce ad un foglio manoscritto appartenente ai suoi «Appunti per un Corso di composizione»[66] una lista di compositori contemporanei autori di «Soggetti di fuga».[67] 

È difficile, comunque, dire quando si conobbero esattamente Pilati e Tebaldini. Nel periodo dei primi concerti della “Scarlatti” Pilati non era ancora diplomato, e in quello di maggiore attività di Tebaldini a Napoli la sua presenza in città fu sporadica (sebbene ciò non escluda che possano essersi conosciuti, come sembrerebbe essere confermato dal fatto che Tebaldini ricevette in Conservatorio una cartolina da Roma, datata 21 ottobre 1926, firmata da Pilati e da Sangiorgi). È improbabile, del resto, che il giovane musicista abbia assistito alle lezioni di cultura musicale tenute da Tebaldini in Conservatorio o alle commemorazioni ufficiali. Né è certo che Tebaldini fosse effettivamente presente al matrimonio di Pilati a Cremona il 27 dicembre del 1928.

Un insegnamento diretto si può pertanto escludere. Piuttosto, si dovrà immaginare un intenso scambio di vedute su argomenti di comune interesse. Una prova di ciò, ad esempio, è l’invio da parte di Tebaldini dello spartito della sopra menzionata Ave Maria gregoriana, con la dedica «A Mario Pilati. Per un prossimo confronto».

Del resto, anche Pilati si cimentò in alcuni saggi di neo-misticismo musicale che pure vanno ascritti al culto dell’antico. Penso al Salmo CXXXIII per doppio coro (1925) e soprattutto all’Oratorio Il battesimo di Cristo per soli, coro e orchestra, definito dall’autore «episodio evangelico», composto nel 1927 e dedicato ai coniugi Napolitano-Gubitosi (ma rappresentato solo nel 1939 a Palermo). Inoltre, egli mise in musica - secondo l’allora corrente moda neo-madrigalistica - il Sonetto XV dalla Vita nuova di Dante (pubblicato da Ricordi nel 1929), le giovanili Canzoni madrigalesche a più voci (tra il 1922 e il ’26),[68] Due madrigali del Guarini per canto e pf. (Napoli, 1932), e Due madrigali del Petrarca per canto e pf (1937). Persino - passando alla produzione strumentale - la virtuosistica Caccia per violino e pianoforte (Milano, 1937) denuncia nel titolo l’ispirazione a studi e temi trecenteschi, arsnovistici.[69]

Le trascrizioni di musiche antiche, e con esse le pubbliche esecuzioni, gli interessarono assai meno che a Tebaldini. Si ricorda soltanto, da Alessandro Scarlatti: Inno a Santa Cecilia per soli, coro, violini e basso numerato, elaborato per grande orchestra;[70] Sei pezzi dai Concerti, per quartetto d’archi; Cinque arie per soprano e basso numerato, per canto e pf.; Inno alla Beata Vergine per soli, coro, violini e basso continuo, per orchestra; e da Bach (Sonate per violino e per violoncello e Clavicembalo ben temperato), una Suite per violino e arpa.

Ma in definitiva, l’influenza di Tebaldini andrà cercata non tanto nell’attività del Pilati compositore, quanto in quella di musicologo e di teorico. Durante l’anno accademico 1932-‘33 Tebaldini - ormai trasferitosi a Genova - tenne delle conferenze a S. Pietro a Majella su un argomento quasi esoterico (allora), e cioè «La scolastica del Padre G. B. Martini». Da ciò egli ricavò poi un saggio pubblicato nella «Rivista Musicale Italiana» del ’39,[71] nella cui dedica si legge:  

Dedico questo Studio alla memoria cara di Mario Pilati decesso prematuramente e troppo presto rapito all’affetto de’ suoi amici docenti e discenti. A lui ebbi occasione di additare per primo le grandi opere teoriche del P. Giambattista Martini delle quali, ne’ suoi brevi anni di insegnamento nei RR. Conservatori di Palermo e Napoli, fece poscia tesoro costante traendo da esse elementi fondamentali per le sue osservazioni teorico estetiche quali – sia nella scuola che in quel Trattato di composizione che pazientemente andava compilando – veniva egli doviziosamente raccogliendo ed illustrando con dottrina ed amore.

M’auguro che questo tributo d’affetto valga a tener viva la spiritualità dei rapporti intercorsi fra di noi per ben dieci anni: paterni per me, filiali per Lui.  

Da ciò emerge con chiarezza il legame umano e artistico che s’era instaurato tra i due, nonché l’oggetto principale, eminentemente speculativo, delle loro conversazioni: il contrappunto nella prospettiva storica.

Da parte di Tebaldini, l’esame dei due tomi martiniani de l’Esemplare, o sia Saggio fondamentale pratico di contrappunto sopra il canto fermo e fugato,[72] con i relativi esempi pratici della polifonia italiana da Palestrina a Marcello, è quasi il pretesto per ribadire il proprio punto di vista sulla necessità di una didattica del contrappunto non sacrificata rispetto all’armonia, ma anzi fondata sullo studio diretto del repertorio antico. Questo intervento va ricondotto all’annosa querelle sulla invocata riforma degli studi in conservatorio di armonia, contrappunto, fuga e composizione. Le questioni aperte erano fondamentali: priorità tra le materie, rapporto e dosaggio tra esercitazioni tecniche e studio storico, scelta dei manuali da impiegare (Dubois, Haller, Bellermann), ecc. Si citava il noto paradosso per cui un allievo, raggiunta già una notevole confidenza nel riconoscimento e concatenamento degli accordi più complicati, dovesse con il contrappunto ricominciare da zero, nota-contro-nota, ecc. I primi interventi su questo tema, e l'inizio del relativo dibattito, sono di Malipiero («Rivista Musicale Italiana», 1917), Giacomo Orefice (ibid., 1918), Pizzetti (a più riprese su «La Critica Musicale» dal 1918 in poi), Giulio Bas («Musica d’Oggi») e di altri; e da allora, in effetti, tale dibattito non si era più sopito, riaccendendosi nuovamente negli anni Trenta.

Dovrei ora soffermarmi sul Trattato di contrappunto e composizione musicale al quale Pilati affidava idealmente il messaggio del suo magistero didattico, ma che purtroppo lasciò incompleto e che rimase inedito. Ciò però meriterebbe un’intera relazione, e comunque si possono segnalare altri studi su questo tema.[73]

In breve, il Trattato era concepito in quattro parti: I) Elementi costitutivi del contrappunto; II) «Tonalità gregoriana» [= modalità] e Contrappunto nelle cinque specie; III) Forme vocali: Mottetto e Madrigale; IV) Forme strumentali: Ricercare, Canone, Corale e Fuga. Le prime due appaiono complete. Dall’indice si evince una residua incertezza relativa agli sviluppi moderni di ogni singolo procedimento: relegarli in “Appendice”, oppure fonderli a conclusione di ogni singolo capitolo? Comunque, il Trattato appare in ogni parte saldamente radicato ad una visione storica e progressiva (dalla Toccata alla Sonata, come diceva Gavazzeni all’inizio) e il fitto ricorso alle auctoritates più antiche, oltre che ai fondamentali manuali del Fux e dello Haller, è una spia degli insegnamenti e delle suggestioni di Tebaldini.[74]

Anche Pilati entrò nella questione della didattica musicale, con un intervento su «Il Mattino» del 23 dicembre 1930 firmato da Antonino Procida (che nell’occasione fece da ‘portavoce’ del musicista). Senza entrare in una sterile polemica, in esso Pilati provò ad esporre ordinatamente le proprie idee e a dare un contributo alla questione. Tuttavia la sua sortita cagionò l’irritata replica di Pannain (che da quel momento gli fu completamente ostile e gli stroncò ogni nuova partitura) e di altri colleghi napoletani; e probabilmente anche questa ostilità contribuì a che il Trattato rimanesse incompleto. Forse, con un po’ più di benevolenza altrui e di spirito di collaborazione, l'autore avrebbe condotto in porto questa sua fatica; e forse, considerando la parte che nella vita di ogni uomo hanno il suo lavoro e i sacrifici che esso comporta, egli avrebbe anche vissuto meglio e un po’ più a lungo. 

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Note

 

* Gianluca D’Agostino si è laureato nel 1994 in Lettere moderne presso l’Università “Federico II” di Napoli con la tesi Morfologia e storia della ballata nel Quattrocento: metrica e musica, che l’anno dopo ha ottenuto il Premio “Natalino Sapegno”. Ha svolto attività di critico musicale sui quotidiani “Paese Sera”, “Roma”, “Il Mattino”, “la Repubblica” e su vari periodici. Ha redatto programmi di sala e presentazioni pubbliche di concerti per il Teatro “San Carlo”, l’Associazione “A. Scarlatti”, i Concerti dell’Università di Napoli, ecc. Ha svolto privatamente studi musicali: teoria, chitarra, canto e pianoforte. Negli anni 1995-’96 e 1996-’97 a Napoli ha usufruito di borse di studio dell’Istituto Italiano di Studi Storici e dell’Istituto Italiano di Studi Filosofici; nel 1997-’98 di quella post-lauream in musicologia presso la University of Manchester (Regno Unito). Nel 1997-’98 ha frequentato corsi di specializzazione in musicologia  sotto la guida di David Fallows. Ha acquisito il diploma di conoscenza avanzata della lingua inglese dell’University of Cambridge. Nel 2002 ha conseguito il dottorato di ricerca in Storia e analisi delle culture musicali presso l’Università “La Sapienza” di Roma. Ha partecipato a seminari e convegni scientifici in Italia e all’estero. Ha collaborato con Enciclopedie e Lessici musicali quali The New Grove Dictionary. Second Edition, e Die Musik in Geschichte und Gegenwart, per la redazione e/o revisione di oltre 40 voci. Ha organizzato corsi e seminari integrativi presso le cattedre di Storia della Musica delle Università degli studi “Tor Vergata” di Roma e “Federico II” di Napoli. Nel 2002-’03 ha avuto la docenza a contratto in “Armonia e contrappunto medievale e rinascimentale” presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma “Tor Vergata” e in "Forme e tecniche della musica" presso la stessa facoltà dell’Università di L’Aquila. Nel 2003 ha diretto la Segreteria organizzativa dei convegni su “Napoli Angioina” e su “Mario Pilati” tenutisi a Napoli e ha usufruito di un assegno di ricerca biennale in L-ART/07 presso il Dipartimento di Discipline storiche dell’Università “Federico II” di Napoli. Ha curato una quindicina di importanti pubblicazioni scientifiche tra cui, di prossima pubblicazione: Le ballate di Zacara, in Antonio Zacara da Teramo e il suo tempo (Lucca, LIM); Johannes Tinctoris: Proportionale musices, Liber de arte contrapuncti (Firenze, Fondazione Franceschini-Sismel); Some Musical Data from Literary Sources of the Late Middle Ages (in “Studi Musicali”); Reading Theorists for Recovering ‘Ghost’ Repertories. Tinctoris, Gaffurio and the Neapolitan Context  (in “Studi Musicali”); Percorsi della musica a Napoli nel Novecento (numero monografico della rivista “Meridione. Sud e Nord nel Mondo”); Tebaldini, Pilati e i cultori della musica antica a Napoli (di cui alla relazione sopra riportata), in Mario Pilati e la musica del Novecento a Napoli tra le due guerre.

** Parole tratte dal Disegno di Mario Pilati di Gianandrea Gavazzeni (versione originale dattiloscritta fornitami da Laura Pilati, meno castigata di quella pubblicata in «Musica d’Oggi», XVII, 1939). A Laura Pilati, così come ai coniugi Anna Maria Novelli e Luciano Marucci, curatori dell’Archivio Tebaldini, e a Tiziana Grande, Mauro Amato e Antonio Caroccia della Biblioteca del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli, i più calorosi ringraziamenti per aver facilitato le mie ricerche per questo saggio.

[1] Gli ‘antichi’ riscoperti nell’Italia del primo Novecento sono, come si vedrà, quelli che meglio si prestavano ad un’esaltazione in senso nazionalistico (capiscuola, precursori, ecc.): Palestrina e i madrigalisti italiani, Frescobaldi, Monteverdi, Carissimi e l’Oratorio, la genesi dell’opera con Peri, Caccini ed Emilio de’ Cavalieri, la musica tastieristica da Cavazzoni a Pasquini, a Scarlatti, a Galuppi, la scuola strumentale da Stradella a Corelli, Lotti, Albinoni, Marcello, Vivaldi, ecc.

 

[2] Fiamma Nicolodi, Per una ricognizione della musica antica, in Ead., Gusti e tendenze del Novecento musicale in Italia, Firenze, Sansoni, 1982, pp. 67-118; Ead., Risvolti nazionalistici nel mito dell’antico in Francia e in Italia, in Musica senza aggettivi. Studi per Fedele d’Amico, a c. di Agostino Ziino, 2 voll., Firenze, Olschki, 1991, II, pp. 463-76; Ead., I “Ritorni” e il mito dell’antico, «Chigiana», XXXVII, N. S. 17 (1980) (numero monografico dedicato a “Medievalisti e folklore nella musica italiana del ‘900”), pp. 15-34.

[3] Giorgio Pestelli, La “Generazione dell’Ottanta” e la resistibile ascesa della musicologia italiana, in Musica italiana del primo Novecento: “La generazione dell’80”, a c. di F. Nicolodi, Firenze, Olschki, 1981, pp. 31-44; Id., Il mito di Domenico Scarlatti nella cultura italiana del Novecento, in La nuova musicologia italiana (“Quaderni della Rassegna Musicale”, 3), Torino, Einaudi, 1965, pp. 101-23.

 

[4] Francesco Degrada, Il mito della musica italiana, in Musica italiana del primo Novecento, cit., pp. 83-96; Id., Gian Francesco Malipiero e la tradizione musicale italiana, in Omaggio a Malipiero, a c. di Mario Messinis, Firenze, Olschki, 1977, pp. 133-52.

  

[5] Piero Santi, Passato prossimo e remoto nel rinnovamento musicale italiano del Novecento, «Studi Musicali», I (1972), pp. 161-86. Cfr. inoltre: Nino Pirrotta, Malipiero e il filo di Arianna, in Malipiero. Scrittura e critica, a c. di Maria Teresa Muraro, Firenze, Olschki, 1984, pp. 5-19; Guido Salvetti, La cultura musicale italiana tra Otto e Novecento, in Id., La nascita del Novecento, "Storia della musica", a cura della Società Italiana di Musicologia, X, Torino, EDT, 1991, 285-90; Id., Ideologie politiche e poetiche musicali nel Novecento italiano, «Rivista italiana di Musicologia», XXXV (2000), pp. 107-33; e ancora Oscar Chilesotti. Diletto e scienza agli albori della musicologia italiana, Firenze, Olschki, 1987, e Oscar Chilesotti, la musica antica e la musicologia storica, a c. di Ivano Cavallini, Venezia, Fondazione Levi, 2000.

 

[6] Guido M. Gatti, La rievocazione del genio italico nelle ore storiche della guerra, «Orfeo», 25 giugno 1916.

 

[7] Cfr. al riguardo la nota affermazione di Alfredo Casella (I segreti della giara, Firenze, Sansoni, 1941, p. 301): «Per noi Italiani, il cosiddetto “ritorno” al periodo aureo della nostra musica strumentale altro non era in realtà che la rinuncia alla rigida forma beethoveniana, alle facili seduzioni del poema sinfonico, alla inconsistenza dell’impressionismo, ripristinando in luogo di queste dottrine le antiche discipline strumentali polifoniche nostre».

 

[8] Soprattutto tedeschi, inglesi e francesi. Si è detto “nascente musicologia” intendendo il 1908, data di nascita dell’Associazione dei Musicologi Italiani di Guido Gasperini e del suo Bollettino (1909-41), come termine a quo del discorso.

 

[9] Musicologi come Gasperini, Cesari, Disertori, Casimiri, Bianchi e altri dopo (es., Sartori) impressero senz’altro un’impronta più filologica alla disciplina, lasciandosi alle spalle i metodi di stampo positivistico che presiedevano alle “antologie storiche” dei ‘pionieri’ come Parisotti (Arie antiche a una voce, 3 voll., 1885-1900: antologia ancor oggi utilizzata dai cantanti in conservatorio!), Torchi (L’Arte musicale in Italia ... secc XIV-XVIII, 7 voll., 1897-1903), o Chilesotti (Biblioteca di rarità musicali, 9 voll., 1883-1915). I rimproveri dei critici di stampo idealistico ai nuovi musicologi, con le accuse di «novissimo dilettantismo» mosse dal Torrefranca o dal Parigi all’Associazione di Gasperini, o quelle di Malipiero («musicologi... compositori falliti»), costituiscono un episodio troppo noto per essere qui ripercorso. Un tentativo (non molto persuasivo) di retrodatare l’avvento in Italia della musicologia erudita si legge in Giovanni Tebaldini, Contributo critico-bibliografico alla cronaca della “musicologia” in Italia nella seconda metà del sec. XIX, «Harmonia», II (1914), pp. 6-13. Per converso, le fitte pagine della «Rivista Musicale Italiana» dei fratelli Bocca riflettono perfettamente, per tutto il primo trentennio del secolo, le oscillazioni tra musicologia e critica estetica.

 

[10] Cfr. la voce “Monumenti musicali” di Alberto Basso nel DEUMM, Dizionario Enciclopedico Universale della Musica e dei Musicisti, “Il Lessico”, 4 voll. (Torino, Utet, 1983-84), III, pp. 182-241.

 

[11] I Classici della Musica Italiana / Raccolta Nazionale delle Musiche Italiane dir. da G. D’Annunzio e dai maestri G. F. Malipiero, C. Perinello, I. Pizzetti e F. Balilla Pratella, 36 voll. in 156 quaderni (Milano, Ist. Editoriale Italiano, 1918- 21). La serie di «musica antica» prevedeva brani di Banchieri, Bassani, Caccini, Carissimi, Cavalli, Cavalieri, Cavazzoni, Corelli, Durante, Frescobaldi, Gabrieli, Galuppi, Gesualdo, Jommelli, Marcello, Martini, Monteverdi, Paisiello, Palestrina, Paradisi, Pergolesi, Peri, Platti, Porpora, Rossi, Sammartini, Scarlatti, Tartini, Vecchi, Veracini, Zipoli. I quaderni 59-62 sono dedicati a Gesualdo da Venosa, Madrigali a 5 voci, trascritti in notazione moderna con sottoposto un sunto per pianoforte, a cura di Ildebrando Pizzetti (spiccano le armonizzazioni al pianoforte - che spesso si risolvono in semplici raddoppi delle voci - e le indicazioni dinamico-agogiche).

 

[12] (1926-42: rist. Vienna, Universal, 1954-65). Sui limiti di quest’opera benemerita si legga una lucida recensione di Hans F. Redlich ne «La Rassegna Musicale», XIII (1935), pp. 23-41; anche Francesco Degrada, Malipiero e la tradizione musicale, cit.

 

[13] Fondate da Gaetano Cesari ed edite da Ricordi: Ia serie in 6 voll. (1931-39): voll. I-II: Andrea e Giovanni Gabrieli e la musica strumentale in San Marco, a c. di G. Benvenuti; III: Le cappelle musicali di Novara (ed. Fedeli); IV: La Camerata fiorentina: Vincenzo Galilei (ed. Fano); V: L’Oratorio dei Filippini e la Scuola musicale di Napoli, tomo 1: La polifonia cinquecentesca – Musica sacra e spirituale di G. D. Montella, G. M. Trabaci, C. Gesualdo (ed. Pannain); VI: La musica in Cremona nella seconda metà del sec. XVI (ed. Cesari e Pannain). Una presentazione di questa collana e delle sue salde ragioni si legge ne «La Rassegna Musicale», V (1932), p. 220-1: «Mentre ormai ogni nazione possiede, sull’esempio dei Denkmäler tedeschi, un degno corpus delle opere musicali del passato, l’Italia era rimasta all’antica antologia del Torchi, L’Arte Musicale nei secc. XIV-XVII, che in sette volumi pretendeva raccogliere le opere di quattro secoli tra i quali alcuni della più indiscussa e gloriosa supremazia musicale italiana».

 

[14] (Roma, 1934-41). La serie, nata sotto l’egida di Respighi, comprende: Theorica Musicae di Gaffurio (ed. Cesari); Dialogo della Musica Antica et Moderna di V. Galilei (ed. Fano); Le musiche sopra l’Euridice di Peri (ed. Magni Dufflocq); Le nuove musiche di Caccini (ed. Vatielli); quindi (con sensibile scarto temporale!) Norma e Composizioni giovanili di Bellini (ed. Cilèa).

 

[15] Opere complete di Giovanni Pierluigi da Palestrina, 35 voll., a c. di R. Casimiri et alii (Roma, Edizioni Scalera, 1939-87). I primi scritti palestriniani del Casimiri sono del 1918 e  l’edizione del Codice 59 dell’Archivio musicale laterano autografo di Palestrina è del 1919. Ma l’edizione di riferimento, adoperata per molti lustri, continuò a essere l’Opera omnia edita da Franz Xaver Haberl, in 33 voll. (Lipsia, Breitkopf & Härtel, 1862-1907).

 

[16] Cfr. Giovanni Tebaldini, Per i giovani ceciliani. Ricordi della prima ora, in «Bollettino Ceciliano», XXIV (1929), pp. 101-9, 143-50, 173-76; XXV (1930). Più di recente: E. Moneta Caglio, Il movimento ceciliano e la musica corale da chiesa, «Rivista Internazionale di Musica Sacra», V (1984), pp. 273-326; Giancarlo Rostirolla, Busti ottocenteschi di G. P. da Palestrina, in Musica senza aggettivi, cit., II, pp. 423-61 (con ricca bibliografia).

 

[17] Die Dissonanzbehandlung bei Palestrina: edizione originale danese del 1923, ted. 1925, ingl. 1927, a tutt’oggi mai tradotta integralmente in italiano (!). Sorte analoga, cioè quella di non essere mai stato integralmente tradotto in Italia, è toccata al manuale Kontrapunkt (vokalpolyfoni), uscito in danese nel 1930, ted. 1935, ingl. 1939 (l’edizione italiana, Compendio di una storia della teoria del contrappunto, a c. di G. Massera, Bologna, 1972, è limitata di fatto alla sola Introduzione). Fondamentale è pure il volume di Karl Gustav Fellerer, Der Palestrinalstil und seine Bedeutung in der vokalen Kirchenmusik des 18. Jahrhunderts, Augsburg, 1929.

 

[18] Cfr. Renato Di Benedetto, La cultura musicale, e Agostino Ziino, Coscienza storica e identità culturale nella Napoli musicale di fine Ottocento, entrambi in Letteratura e cultura a Napoli tra Otto e Novecento, Atti del convegno (Napoli, 28 nov.-1° dic. 2001), a c. di Elena Candela, Napoli, Liguori, 2003, rispettivamente alle pp. 27-37 e 165-78.

 

[19] Alessandro Longo: l’uomo, il suo tempo, la sua opera. Atti del convegno di studi (Amantea-Arcavacata di Rende, 9-12 dicembre 1995), a c. di Giorgio Feroleto e Annunziato Pugliese, Vibo Valentia, Istituto di Bibliografia Musicale Calabrese, 2001: sulla produzione storico-critica del Longo cfr. in particolare Lucio Tufano, Storia, critica ed estetica della musica negli scritti di A. L., pp. 31-61.

 

[20] (Ricordi, 1906-10). Il suo criterio editoriale è, notoriamente, anti-filologico sotto molti riguardi, e più di tutto nel senso che egli corresse, oltre che trascrivere, la musica in accordo al proprio gusto e sulla base della teoria della tonalità armonica: cfr. Emilia Fadini, Alessandro Longo revisore delle sonate di Domenico Scarlatti, in Alessandro Longo, cit., pp. 341-70.

 

[21] Cfr. Tufano, op.cit. Oltre a dirigere svariati periodici musicali, Longo scrisse anche un curioso ed erudito poema celebrativo sulla musica intitolato Symphonia (Napoli, L’Arte Pianistica Editrice, 1924).

 

[22] Autore di molta musica sacra e di opere didattiche (Corso completo di fughe, 1871, Trattato di armonia, 1872, ecc.), sul quale cfr. la voce in The New Grove Dictionary of Music and Musicians. Second Edition, London, 2001, XIX, p. 898.

 

[23] Cfr. Un predecessore di A. Scarlatti e lo stile madrigalesco (1891); Salvator Rosa musicista (1894); Origini dell’Opera comica (1895-1900); La musica in Napoli (1900); Il melodramma dalle origini al sec. XVIII (1901), apparsi per lo più nella «Rivista Musicale Italiana» e in altri periodici, e raccolti in un volume di Scritti di N. D’Arienzo donato dalla vedova alla Biblioteca del Conservatorio S. Pietro a Majella (S.C. 5.5.11). Su di lui cfr. Luigi Sisto, Gesualdo, Florimo, D’Arienzo: continuità o modernità ritrovata?, in Carlo Gesualdo nella storia d’Irpinia, della musica e delle arti, Atti del convegno di studi (Taurasi-Gesualdo, 5-6 dic. 2003), a cura di P. Gargiulo, A. Granese, A. Ziino, Lucca, LIM (di prossima pubblicazione), e Id., Fonti iconografiche e documentarie per un’analisi della ricezione di Gesualdo e della musica antica a Napoli nell’Ottocento, «Sinestesie», dicembre 2003 (numero monografico dedicato a Gesualdo da Venosa). Sull’importanza del D’Arienzo come teorico e fondatore di un Sistema tetracordale nella musica moderna (1878), cfr. Giorgio Sanguinetti, Le melodie tetracordali di Nicola D’Arienzo, in Alessandro Longo, cit., pp. 185-203.

 

[24] Suo un Corso teorico-pratico di armonia (Milano, Ricordi, 1921). Del de Nardis si legga la folgorante descrizione di Guido Pannain (Ottocento musicale italiano, Milano, Curci, 1952, p. 173): «Fu istintivamente ingenuo come un cantastorie, ma un cantastorie che teneva cattedra di armonia e contrappunto e intrecciava la favola canora a divagazioni di polifonia e sviava l’enfasi in sequenze di fughe».

 

[25] Suo il compendio Suono e ritmo. Teoria della musica per i corsi superiori dei RR. conservatori e licei musicali (Milano, Curci, 1932).

 

[26] Cfr. Musica antica a Napoli (1918); Catalogo Generale [...] Città di Napoli. Archivio dell’Oratorio dei Filippini (Parma, 1918); La Casa della Musica: i Filippini di Napoli («Napoli Nobilissima», 1921); L’aulica musica a Napoli. La Santa Casa dell’Annunziata («Musica d’oggi», 1922); Maestri di cappella, musici e istromenti al Tesoro di San Gennaro nei secoli XVII e XVIII (1920/R1990); I quattro antichi conservatorii musicali di Napoli MDXLIII-MDCCC, 2 voll. (Palermo, 1924-8). Sugli scritti digiacomiani di erudizione cfr. Franco Schlitzer, Salvatore Di Giacomo. Ricerche e note bibliografiche (Firenze, Sansoni, 1966), e su quelli specificamente musicali cfr. Vincenzo Vitale, Salvatore Di Giacomo e la musica, Napoli, Bibliopolis, 1988 (su cui cfr. R. Di Benedetto, Salvatore di Giacomo e la musica: un saggio postumo di Vincenzo Vitale, in Musica senza aggettivi, cit., II, pp. 625-30).

 

[27] Cfr. L’opera buffa napoletana durante il Settecento (Palermo, 1917 / R 1975). Altri studi del medesimo periodo: Andrea Della Corte, L’opera comica italiana nel ‘700, 2 voll. (Bari, 1923); Gennaro M. Monti: La musica delle villanelle alla napoletana, «L’Arte pianistica», IX (1922), fasc. 4-7, e Id., Le villanelle alla napoletana e l’antica lirica dialettale a Napoli (Città di Castello, 1925).

 

[28] Alessandro Scarlatti “Il Palermitano” (1926), La musica a Napoli nel Seicento (dal Gesualdo allo Scarlatti) («Samnium», 1928), e molti altri saggi, oltre al monumentale I teatri di Napoli nel secolo XVII (1962 / R 2002), pubblicati nel secondo dopoguerra. Le prime ricerche archivistiche di Prota-Giurleo fornirono solide basi documentarie per opere di altri studiosi, come L’Oratorio dei Filippini del Pannain.

 

[29] È la notissima chiusa della lettera a Francesco Florimo del 5 gennaio 1871, con la quale Verdi declinava l’invito a dirigere il Conservatorio napoletano.

 

[30] Achille Longo, Mario Pilati, «Bollettino del R. Conservatorio di Musica, Napoli», II/3 (1939), pp. 12-6.

 

[31] Ziino, Coscienza storica, cit., p. 196.

 

[32] «La Rassegna Musicale», IV (1931), p. 373. In verità, l’irritazione di Pannain fu originariamente causata da un intervento pubblico di Pilati sulla didattica musicale del quale si dirà più avanti.

 

[33] Cfr. Ottocento musicale italiano, cit., e Musicisti dei tempi nuovi, Milano, Curci, 19542.

 

[34] Cfr. La teoria musicale di G. Tinctoris (per la storia della musica napoletana) (Napoli, 1913), e Le origini della Scuola musicale napoletana (Napoli, 1914); Note di archeologia musicale (paleografia neumatica e ritmo gregoriano) («Rivista Musicale Italiana» XXVI, 1919); Liber musicae del sec. XIV («Rivista Musicale Italiana», XXVII, 1920); L’Oratorio dei Filippini e la Scuola Musicale di Napoli (1934) e altri studi gesualdiani (Note sui Responsori, «Chigiana», XXV, 1968), oltre a studi monteverdiani (ne «La Rassegna Musicale», dal 1930). Lavoro compilativo è invece il suo La musica a Napoli dal ‘500 a tutto il ‘700, in Storia di Napoli, VIII, Napoli, 1971, pp. 717-87.

 

[35] Ch. E. de Coussemaker, Scriptorum de musica Medii Aevi nova series, 4 voll., Paris, Durand, 1864-76, IV. Un altro secolo dovrà passare per una nuova (e ancora imperfetta) edizione dei trattati di Tinctoris: cfr. Johannes Tinctoris, Opera theoretica, ed. Albert Seay, Corpus Scriptorum de Musica, 22, American Institute of Musicology, 1975-8. L’autore di questo saggio sta per licenziare alle stampe una nuova edizione critica di Tinctoris (Trattato sulle proporzioni e Trattato sul contrappunto).

 

[36] Anche in questo dovettero pesare i pregiudizi di compositori e critici militanti: cfr., ad esempio, Giannotto Bastianelli (Musicisti d’oggi e di ieri, Milano, 1914, p. 117: «Possiamo quindi stabilire che dal 1000 a quasi tutto il 1500 corre un periodo in cui la musica rifà a suo modo e molto più lentamente quello che la poesia aveva fatto di un balzo, verso il 1300 [...]. Il vero e proprio volgare della musica nasce intorno al 1600: Palestrina, Frescobaldi, Monteverdi e Carissimi [...]. Avanti Palestrina [...] i musicisti […] possono essere considerati come i primitivi della musica europea (tra essi i famosi fiamminghi)».

Altrove in Europa la situazione di questi studi si può così riassumere: Guillaume Dufay fu studiato dallo Haberl nel 1885 ed edito ad opera prima del de Van nel 1947, poi del Besseler dal 1951 (ma gli Studien zur Musik des Mittelalters di Besseler datano già 1925); Josquin des Prez fu edito dal 1921 dallo Smijers e da altri; Machaut dal Ludwig nel 1926; Obrecht dal Wolf nel 1912 (ma il Geschichte der Mensural-Notation del Wolf è del 1904); Ockeghem dal Plamenac dal 1927; i primi studi di van den Borren (es. Lasso) sono del 1920, ecc. Pannain era tra i pochi in Italia a riconoscere l’alto valore di questi studi (cfr. la sua recensione all’edizione delle Messe di Ockeghem per cura del Plamenac, in «La Rassegna Musicale», I, 1928, p. 205).

 

[37] 1899-1945. Studiò al Pontificio Istituto di Musica Sacra e si diplomò in composizione con Respighi; inoltre si laureò in filosofia e si perfezionò in paleografia musicale a Solesmes. Molte sue pubblicazioni su melodie trobadoriche e codici provenzali (tra cui un opuscolo intitolato Musiche trobadoriche per i «Quaderni del R. Conservatorio di Napoli», XIX, 1941), ma anche sul ritmo gregoriano e su vari altri argomenti.

 

[38] In «Bollettino del R. Conservatorio di Musica, Napoli», XX (1942), pp. 19-29.

[39] Evidentemente, neppure i suoi illustri predecessori, Torrefranca, Di Giacomo, Gasperini, avevano tentato di provvedere alla lacune. Del ‘34, com’è noto, è l’ancora insostituito Catalogo delle opere musicali del Conservatorio di Musica San Pietro a Majella del Gasperini. Sulla biblioteca in quegli anni cfr. Alfredo Tarallo, La Biblioteca del Conservatorio di San Pietro a Majella a duecento anni dalla fondazione, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1991, e, più specificamente, Tiziana Grande, Contributo alla storia della Biblioteca del Conservatorio di musica San Pietro a Majella di Napoli: gli anni 1889-1935, «Fonti Musicali Italiane», III (1998), pp. 199-214.

 

[40] Nell’ottobre 1918 Emilia Gubitosi e Margherita Compagna, nella villa di Maria De Sanna a Posillipo, avevano deciso di aprire una nuova Scuola corale e di andare alla scoperta di «musiche antiche verso le quali sentivamo quella naturale attrazione che si avverte verso un mondo da scoprire, poiché esse ci erano in quel tempo in gran parte sconosciute. […] in particolar modo ci interessava l’incontro con la grande tradizione della polifonia vocale, allora si può dire del tutto ignorata a Napoli». In novembre venne dunque approvato lo Statuto della nuova Associazione, con l’appoggio delle personalità predette. Queste informazioni si ricavano da una Memoria di Emilia Gubitosi a Tebaldini, per il venticinquennale della “Scarlatti”.

 

[41] Dalla Premessa di Di Giacomo a L’Associazione Alessandro Scarlatti nella vita musicale napoletana, 1919-1926, «Bollettino dei Concerti dell’Associazione Scarlatti», Napoli, 1926, pp. 5-6, pubblicata anche in Vitale, Salvatore Di Giacomo e la musica, cit., p. 157-8.

 

[42] Cfr. la Premessa di cui alla nota precedente: «Fu così. Rincorrevo da qualche tempo gl’itinerari professionali di un grande musicista [...] Emilia Gubitosi mi venne a trovare in biblioteca [...] – Che titolo mi suggerireste per l’Associazione? – Ebbene – risposi – chiamatela “Alessandro Scarlatti”».

 

[43] Verdi, tramite Giulio Ricordi, con lettera del 21 giugno 1894, domandò a Tebaldini di procurargli a Venezia una «Canzone e Danza popolare veneziana o greca 1400-1600», per delle danze da aggiungere all’edizione parigina dell’Otello. In un’altra lettera del febbraio 1896, ringraziando Tebaldini dell’invio del libro L’Archivio Musicale della Cappella Antoniana in Padova (1895), Verdi, che voleva comporre un Te deum, gli chiede di trascrivergli quelli di Padre Vallotti, e la corrispondenza sull’argomento continua per alcuni mesi. Nella Pasqua del 1898 Tebaldini sarà a Parigi per la prima dei Pezzi sacri, che recensirà per la «Rivista Musicale Italiana» (V, 1898, pp. 321-61). Sui rapporti tra i due musicisti cfr. Idealità convergenti. Giuseppe Verdi e Giovanni Tebaldini, a c. di Anna Maria Novelli e Luciano Marucci (Ascoli Piceno, D’Auria, 2001).

 

[44] Il ruolo svolto da Tebaldini sulla formazione di Pizzetti, nell’iniziarlo al gregoriano e alla polifonia - ruolo ammesso dallo stesso Pizzetti, autore peraltro del saggio La musica dei greci (Roma, 1914, con lettera dedicatoria a Tebaldini) e rivendicato energicamente da Tebaldini stesso nel suo Ildebrando Pizzetti nelle “memorie” di Giovanni Tebaldini (Prefazione di A. Damerini, Parma, 1931) - è stato messo in dubbio dal figlio del compositore, Bruno Pizzetti, nel suo Ildebrando Pizzetti: cronologia e bibliografia (Parma, La Pilotta, 1980), ma poi saldamente confermato da John Waterhouse (Pizzetti in Perspective. An Important Documentary Biography’s Contribution to a more Balanced Assessment, in Musica senza aggettivi, cit., II, pp. 663-73, 669) e tanti altri. Su questo cfr. anche Piero Santi, La funzione ideologica del modalismo pizzettiano, «Chigiana», XXXVII (1980), pp. 81-104, 82-5...

 

 

[45] La bibliografia completa su Tebaldini, con elenco delle opere e degli scritti, è nell’informatissimo sito www.tebaldini.it, al quale si rinvia. Studia con Padre Guerrino Amelli - l’iniziatore della riforma della musica sacra in Italia - paleografia gregoriano e polifonia vocale. Contemporaneamente collabora ai periodici «Gazzetta Musicale di Milano» e «Musica Sacra», e a vari quotidiani lombardi. Esercita l’attività di organista, poi va in Germania, primo italiano a frequentare la famosa scuola di Ratisbona, sotto la guida di Haberl e Haller. Soggiorna a Monaco, Norimberga, Bayreuth. Nel 1889, su proposta di Haberl, di Angelo De Santi e di Giuseppe Gallignani, è nominato Direttore della Schola Cantorum e Secondo Maestro di Cappella in San Marco a Venezia; incarico che lascia nel 1894 per andare a dirigere la Cappella musicale della Basilica di Sant’Antonio a Padova. Quindi dirige il Conservatorio di Parma dal 1897 al 1902, dove ha come allievo Pizzetti; ma presto è costretto, a malincuore, per le accuse dei suoi detrattori, ad abbandonare l’incarico parmense. Nel 1903 passa alla direzione della Cappella musicale di Loreto, dove resterà fino al 1924, attuando «un programma di radicali riforme sulla base della restaurazione della vera musica liturgica». Papa Pio X lo chiama a far parte, insieme con Bossi, De Santi, Gallignani e Terrabugio, della Commissione di vigilanza per l’applicazione della musica sacra di cui al Motu proprio del 1903. Dal 1912 organizza e dirige numerosi concerti di musica antica in tutta Italia. Dopo l’esperienza napoletana di cui si sta parlando, va a dirigere il Liceo Musicale “Monteverdi” di Genova, e insegna anche al Conservatorio “Rossini” di Pesaro. Abbondante è la sua produzione saggistica, oltre che di musica sacra, profana e di trascrizioni e riduzioni. Spesso liquidato dalla moderna musicologia come semplice “ceciliano”, fu invece un personaggio dalla multiforme attività, che contribuì al rinnovamento della cultura musicale italiana.

 

[46] Già Pietro Platanìa, direttore del Conservatorio S. Pietro a Majella dal 1885 al 1902, gli aveva offerto la docenza di organo e canto corale nel 1896, invito che Tebaldini declinò. Fu in buoni rapporti con il D’Arienzo, e poi con Luigi Mancinelli, e con Francesco Cilèa. Ciò è riferito in una lettera di Tebaldini a Pilati del novembre 1929 (su cui cfr. più avanti).

 

[47] Questa ed altre lettere di Di Giacomo a Tebaldini, da cui si cita, sono conservate presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, Sezione Musicale “Lucchesi Palli”, fondo manoscritti (“Lettere Di Giacomo”).

[48] Su questo cfr. anche Giovanni Tebaldini, Emilia Gubitosi, «Il Pensiero Musicale», VI/3, (1926), pp.39-40: «È a Salvatore di Giacomo che debbo di aver potuto volgere lo sguardo [...] verso il luminoso cielo partenopeo. Nell’autunno del 1918 egli mi domandava di voler sentire una accolta di giovani che, riunita da una animosa musicista sotto il nome ed il vessillo auspicante di “Alessandro Scarlatti”, si era data a studiare la Rappresentazione di Anima e di Corpo».

[49] (maggio-giugno 1919, pp. 22-3).

 

[50] Domenico Alaleona, Giovanni Tebaldini, e Intorno a “La Rappresentazione di Anima e di Corpo” e al suo autore, in «L’Orifiamma», IX/15-16 (1916); Federico Verdinois, Anima e Corpo, «Il Roma della Domenica», 20 luglio 1924; Mario Pilati, Giovanni Tebaldini, «Bollettino Bibliografico Musicale», IV/11 (1929), pp. 1-29.

 

[51] L’elenco completo è riportato nella sezione “Direzione concerti” del sito web su Tebaldini.

 

[52] Questo brano fu oggetto di una piccola polemica musicologica tra Benvenuti, Pannain e altri, pubblicata sulla «Rivista Musicale Italiana» del 1920.

[53] Tra questi: maggio-giugno 1921: Paisiello, Nina Pazza per amore (dir. G. Napoli); 4 febbrario 1922 (dir. F. M. Napolitano): Bach, Concerto Brandeburghese n° 2 e brani dalla Passione secondo S. Matteo, Haendel, Concerto grosso in sol minore e brani dal Messia e dal Serse; 6-8 aprile 1922: concerti di Wanda Landowska (musiche di Haendel, Mozart, Bach, Scarlatti, Purcell, ecc.), entusiasticamente recensiti da Alessandro Longo su «L’arte pianistica» (X, 1923); e vari altri concerti d’organo ad opera di Franco Michele Napolitano, il quale cominciava proprio allora anche l’attività come direttore d’orchestra. Di lì a non molto la “Scarlatti” si sarebbe ‘aperta’ al repertorio moderno: nel marzo 1927 ci fu la prima di Scarlattiana. Divertimento su musiche di D. Scarlatti di Alfredo Casella.

 

[54] Si segnalano, comunque, le recensioni in «L’Arte Pianistica», VI (1919), VII (1920); «La Critica musicale», III (1920); «Il Giorno», 15 aprile 1920; il già citato «Roma della Domenica», 20 luglio 1924.

 

[55] Avvenimenti – Napoli: l’Euridice alla “Alessandro Scarlatti”, «La Critica Musicale», III/2 (1920), pp. 58-9.

 

[56] Dal Programma di sala, a cura dell’Associazione “Scarlatti” (R. Politeama Giacosa, Napoli, 28 gennaio 1920). Anche Augusto Guzzo, nella recensione sopra citata, aveva notato le «strumentazioni moderne a volte discutibili per soverchio amore di modernità, ma in generale, provvidenziali perché il pubblico abbia l’impressione di trovarsi dinanzi a musica che poi non è dell’altro mondo, anche se conta parecchi secoli di vita».

[57] Ringrazio ancora Anna Maria Novelli e Luciano Marucci del Centro Studi e Ricerche "G. Tebaldini" per avermi fatto conoscere questi e altri appunti autografi del musicista.

 

[58] La versione tebaldiniana della Rappresentazione - andata in stampa per la “Edizione Marcello Capra” (Pref. di D. Alaleona, Torino, S.T.E.N, s.d.), e già elogiata dal Pizzetti in Un nuovo lavoro del M° Tebaldini: La “Rappresentazione di Anima e Corpo” di Emilio del Cavaliere, «Orfeo», III/1 (1912), p. 3 - dovette incontrare riserve da parte dei musicologi (i soliti «archeologi della musica», come li chiamava Tebaldini), tanto che il musicista sentì il bisogno di difendere le sue scelte interpretative in un articolo su «La Nuova Italia Musicale» (IV/6, 1931). Nel 1912 era uscita la riproduzione in facsimile della Rappresentazione del Cavalieri per cura di Francesco Mantica (“Prime fioriture del melodramma italiano”, coll. dir. da F. Mantica, Roma). Un’edizione moderna della Rappresentazione fu curata anche da Emilia Gubitosi (Milano, 1956?), da me non consultata.

[59]  Datata: “Loreto, 15.IX.942”: Lascito Pizzetti presso la Biblioteca Palatina – Sezione musicale di Parma (ringrazio nuovamente i curatori del Centro Studi "G. Tebaldini" per questa informazione).

 

[60] Tebaldini si riferisce alla recensione di Pizzetti della Storia della Musica di Franco Abbiati (Milano, 1942), apparsa su «La Nuova Antologia», LXXVII, giugno 1942, pp. 274-7. Sulla stessa prestigiosa rivista (agosto 1942, pp. 213-15) Pizzetti recensì dopo poco anche Le opere complete di Giovanni Pierluigi da Palestrina, a cura di Raffaele Casimiri. In essa il compositore lodava l’opera di Casimiri e concordava con la sua premessa che «se la musica vocale polifonica antica [...] nonostante la reverenza della quale è circondata [...] è poco amata, e perciò poco desiderata ne è la conoscenza, ciò dipende dal fatto che da molto, troppo tempo, essa è generalmente eseguita così da deformarne e falsarne i caratteri; ed è falsamente interpretata [...] la sua notazione originale».

 

[61] F.Balilla Pratella, La più degna commemorazione di Dante, «Il Resto del Carlino», 29 sett. 1921, e Id., Dante e il canto Gregoriano e Palestriniano. La commemorazione musicale di Ravenna, «La Tribuna», 30 sett. 1921. Cfr. pure G. Bastianelli, Musicisti d’oggi e di ieri, cit. (vd. sopra n. 36).

[62] Nella fattispecie, di Palestrina: Christe, qui lux est et dies, Inno a 4 voci; Vidi turbam magnam, Mottetto a 6 voci; Beata es Virgo Maria, Mottetto a 8 voci; O beata et benedicta et gloriosa Trinitas, Mottetto a 5 voci.

 

[63] «La critica musicale», V, genn. 1922, pp. 21-22.

 

[64] La lezione si concluse con l’esecuzione di brani palestriniani – due Ricercari per organo (!) ed estratti dalle Messe Sine nomine e Aeterna Christi munera, Credo dalla Missa Papae Marcelli, Offertorio Dextera Domini – affidata ad allievi delle classi di organo e di coro del Conservatorio diretti dal Tebaldini. Altri Discorsi commemorativi di Tebaldini a Napoli: per Marco Enrico Bossi (24 marzo 1925, per l’Associazione “Alessandro Scarlatti”, seguito, due giorni dopo, dalla Solenne Messa di Requiem con musica di Bossi diretta da Tebaldini); per Alessandro Scarlatti (27 dic. 1925); per il XXV anniversario dalla morte di Giuseppe Verdi (20 maggio 1926); per Beethoven (26 marzo 1927). Un altro articolo di Tebaldini su Giovanni Pierluigi da Palestrina apparve su «Il Roma della Domenica» (supplemento letterario-illustrato napoletano), 1 marzo 1925.

[65] Tutta la vicenda sarà poi esemplarmente riassunta da Pilati, nel citato articolo per il «Bollettino Bibliografico Musicale».

[66] Ringrazio Laura Pilati per avermi fornito questa informazione.

 

[67] La lista - sfortunatamente priva dei soggetti musicali - comprende, tra i nomi di musicisti, quelli di Pizzetti, Alfano, Casella, Zandonai, Tebaldini, Respighi, Castelnuovo-Tedesco, Napoli, Cilèa, e molti altri (tra cui lo stesso Pilati).

[68] In una di esse, il madrigale O bella ninfa a 4 voci, l’autore si firma scherzosamente: «Finis Marii Pilati Lucas Marentii nepotis valentissimi, Neapolis 1922».

 

[69] Tuttavia non c’è traccia, in essa, del procedimento del canone, che è alla base della caccia tradizionalmente intesa. Si tratta invece di un brano tripartito, con una sezione centrale contenente al suo interno un breve episodio (otto misure) ripetuto due volte con una diversa desinenza finale, alla stregua, insomma, della divisione in “prima” e “secunda pars” tipica delle formes fixes della poesia per musica medievale. Ricordo, a proposito dei primi studi su questi argomenti, le ricerche filologiche di Giosué Carducci (Cacce in rima dei secoli XIV e XV, Bologna, 1896) e Francesco Novati (Contributi alla storia della lirica musicale neolatina, I. Per l’origine e la storia delle cacce, «Studi Medievali», II, 1906-7, pp. 303-26), e quelle musicologiche di Nino Pirrotta: Per l’origine e la storia della caccia e del madrigale trecentesco, «Rivista Musicale Italiana», XLVIII (1946), pp. 305-23; XLIX (1947), pp. 121-42.

 

[70] Che dovrebbe essere la stessa opera eseguita in prima a Napoli il 27 ottobre 1928 al concerto diretto da Franco M. Napolitano per l’inaugurazione del nuovo organo elettrico della grande Sala del Conservatorio.

 

[71] La scolastica del padre Martini, «Rivista Musicale Italiana», XLIII (1939), pp. 305-14, 517-29; XLIV (1940), pp. 1-17. Un estratto del saggio fu inviato da Tebaldini alla vedova Pilati, con la seguente dedica: «Alla Signora Antonietta Pilati. Compagna eletta di Colui al quale queste pagine son dedicate con profondo rimpianto offre Gio. Tebaldini. Loreto, marzo del 1940».

[72] Se ne legga ora il documentato studio di Elisabetta Pasquini, Padre Martini teorico e didatta della musica, Firenze, Olschki, 2004.

 

[73] Marco de Natale, A margine di un convegno su Mario Pilati: un incompiuto Trattato di Contrappunto, «Spectrum. Rivista di Analisi e Pedagogia musicale», VI (2003), pp. 23-5. Inoltre, Giorgio Sanguinetti (Università di Roma Tor Vergata) ha in corso d’opera un suo studio sul Trattato di Pilati (comunicazione personale allo scrivente).

 

[74] Peraltro, un interesse altrettanto forte per il contrappunto vocale palestriniano aveva già mosso Alberto Favara, autore degli Studi sulla musica italiana della rinascenza (Palermo, 1901) e di uno Studio sul contrappunto vocale classico (Palermo, 1912, inedito): cfr. Agostino Ziino, Il “Contrappunto vocale classico” negli studi e nell’esperienza di Alberto Favara, «Chigiana», XXXVII (1980), pp. 119-33; Giuseppe Donato, Palestrina negli scritti di Alberto Favara, in Atti del II Convegno internazionale di studi palestriniani: “Palestrina e la sua presenza nella musica e nella cultura europea dal suo tempo ad oggi”, a c. di L. Bianchi e G. Rostirolla, Palestrina 1991, pp. 571-85.

 

[da “Atti del Convegno di studi su Mario Pilati e la musica del Novecento a Napoli tra le due guerre” (Napoli, 5-6 dicembre 2003), a cura di Renato Di Benedetto (in corso di pubblicazione)].

 

 

 

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