AMILCARE PONCHIELLI

 

Giovanni Tebaldini aveva cominciato a frequentare il Conservatorio di Milano nell’ottobre del 1882, dove già da due anni Amilcare Ponchielli1 insegnava composizione, seppure con periodi di assenza dovuti ad altri incarichi ed impegni di lavoro. Il Maestro cremonese ebbe allievi illustri tra cui Marco Enrico Bossi, Arturo Vanbianchi, Giacomo Puccini, Giulio Buzenac e, come privatista, Pietro Mascagni, “forse il più autentico seguace dell’autore del Figliuol Prodigo”.

Tra questi Tebaldini aveva stabilito con il Maestro una più assidua familiarità. Sovente trascorreva la domenica a casa sua, in via San Damiano, e  la moglie, la cantante Teresa Brambilla, lo invitava a trattenersi a cena, offrendo “more bergamasco”, ”polenta e osei”. In occasione dell’andata in scena di Marion Delorme al Teatro Grande di Brescia egli pubblicò su “Sentinella Bresciana” il suo primo articolo critico, meritando le lodi di Giulio Ricordi che il 9 agosto gli scriveva:

 

Mi è impossibile non congratularmi seco Lei per quanto ha pubblicato nel pregevole foglio bresciano: in quest’epoca di basse invidie mi commuove davvero vedere un giovane render giustizia ad un uomo che onora la nostra Italia e che per la bontà d’animo merita davvero l’universale stima.

Ripeto dunque che mi congratulo con Lei e lo faccio di vero cuore augurandole che quando intraprenderà la spinosa carriera teatrale, ella abbia a trovare critici musicali del di lei valore. Di critici musicali ne abbiamo in Italia ad josa. Di critici musicisti che sappiano cos’è musica, quasi nessuno.

 

Ponchielli visse solo pochi mesi, dopo il successo della sua opera. L’Intermezzo funebre che precede l’ultimo atto, sembra nascondere il presentimento della propria fine.

Quando morì, Tebaldini fu scelto a pronunciare l’estremo saluto a nome degli studenti. Non poté leggerlo per ristrettezza di tempo, così Ricordi lo pubblicò sulla sua rivista, di cui il giovane bresciano era divenuto apprezzato collaboratore. In esso concludeva:

 

E noi ti abbiamo perduto, o maestro; abbiamo perduto in te la nostra guida migliore, il nostro amico più affettuoso. Noi torneremo là, nella nostra tua scuola, ma non più ci sarà dato vedere quel tuo viso sereno, quei tuoi occhi pieni di bontà, non udremo più la tua voce affabile che ci penetrava nella mente e nel cuore istruendoci ed educandoci. […] mentre il nostro cuore è gonfio di lagrime ed il destino ti strappa inesorabilmente al nostro affetto filiale, che cosa sarebbe di noi se non ci restasse a sorreggerci il ricordo della tua fermezza dinanzi alla sventura, se non ci restassero le tue opere immortali in cui versasti la migliore parte di te, se dentro di noi non rimanesse inalterabile l’eco delle tue sapienti e amorevoli parole, se, premendoci sul cuore i capelli che abbiamo tagliati dalla tua fronte ed i fiori che abbiamo raccolti sul tuo letto di morte2, non sentissimo che di te non è tutto perduto, che vive e vivrà benedetta e venerata la tua memoria?3

 

E così ricordava l’ultima lezione:

La mattina del 9 Gennaio 1886 – in un’orrida giornata di nebbia e di neve fitta – il povero Maestro, arrivato faticosamente in scuola, non sapeva come accingersi ad esaminare i nostri lavori. Ansimava affannosamente; il respiro gli riusciva oltremodo difficile. Nel rivedere le composizioni che l’uno dopo l’altro gli allievi gli sottoponevano, per un colpo di tosse più forte e cavernosi dei precedenti, accostò istintivamente il bianco fazzoletto alla bocca. Lo ritrasse macchiato di sangue. Lo pregammo di sospendere la lezione e di tornare a casa ove lo accompagnammo adagiandolo sul suo letto; purtroppo sul suo letto di morte.

[…] In quell’ora tristissima e penosa per noi tutti che avevamo imparato ad amare il caro Maestro, si chiudeva per sempre il ciclo di una esistenza cinquantunenne assai combattuta ed oltremodo tribolata4.

 

Sempre Tebaldini, nel settembre 1886, assistette all’inaugurazione di un busto del Maestro e di una lapide che il Comune di Paderno “di tanto figlio orgoglioso” gli innalzò “a monumento perenne”.

Nella sua carriera ebbe più volte occasione di scrivere sulle sue opere e di tenere conferenze. Si ricordano quelle di Paderno per l’apertura e la chiusura dell’anno ponchelliano e quelle al Conservatorio S. Cecilia di Roma, al Conservatorio “G. Verdi” di Milano e a Zara.

 

Egli lo giudicava:

[…] un musicista istintivo; di quelli i quali credevano che per fare della musica occorressero delle idee: idee che per lui si concretavano in temi linearmente tracciati, chiaramente delineati e sviluppatisi di quattro in otto e magari in sedici battute: idee e temi che , inquadrati in una determinata forma, dovevano riapparire poscia variati, ampliati, arricchiti da altri elementi decorativi.

Criteri sorpassati? Musica d’altri tempi? Così si disse! Ma criteri che ritornano, come dopo il tramonto ritorna l’alba!

Malgrado l’evoluzione grandiosa compiuta dall’arte nell’ultimo cinquantennio, e malgrado noi pure ci si sia lasciati trasportare nell’orbita delle nuove idealità, non crediamo potere rimanere estranei alla vita musicale dello spirito quale apparve in altri momenti della storia.

[…] Per questo principio di fede, sì, noi torniamo spesso alle fonti del passato pari a quella donde ebbe vita Amilcare Ponchielli: fonti che pullulano e gorgogliano con tenera voce suadente in un tranquillo recesso, nell’ombra, magari anche, ma dove tutto intorno splende il sole meridiano, e dove verso il cielo dell’Eterno  si aderge la quercia secolare ed onusta della nostra storia, più ancora quella della nostra anima italiana5.

 

Tebaldini, un mese prima della scomparsa, dettò due articoli per  “La Scala” di Milano (marzo e aprile 1952), ricordando un Ponchielli bonus vir, retto e d’animo superiore; modesto e remissivo anche con gli avversari. Inoltre, ha lasciato un libro su Amilcare Ponchielli e il suo tempo, rimasto inedito, con varie testimonianze e un’attenta analisi della sua produzione musicale, che il Centro Studi “G. T.” sta digitando nella speranza che possa essere pubblicato.

 

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1.  Ponchielli Amilcare (Paderno Fasolaro, Cremona, 1834 – Milano, 1886), compositore. Studiò al Conservatorio di Milano, dove, dal 1883, insegnò composizione, avendo come allievi, tra gli altri, Puccini e Mascagni. Dal 1861 al 1886 fu maestro di cappella nella chiesa di S. Maria Maggiore a Bergamo. La sua opera più rappresentata è Gioconda (1876), su libretto di A. Boito. Altre sue opere: I Promessi Sposi (1856), La Savoiarda (1861), I Lituani (1874), Il Figliuol prodigo (1880), Marion Delorme (1885). Di recente, nel paese natale del musicista è stato ristrutturato il Museo Ponchelliano, che conserva alcune lettere del Maestro a T. e cimeli da lui donati. Per il primo centenario della nascita, T., che era stato suo allievo, fu chiamato a commemorarlo ai Conservatori di Roma e Milano, a Zara e nella Piazza di Paderno per l’apertura e la chiusura delle celebrazioni.

 

2.  La ciocca di capelli e i fiori prelevati da Tebaldini dal letto di morte furono donati nel 1934 (primo   centenario     della nascita) al Museo Ponchelliano di Paderno dove ancora oggi sono conservati.

 

3.  Da Amilcare Ponchielli, “Gazzetta Musicale di Milano”, n.5, 31 gennaio 1886.

     

4.  Stralcio da Il mio maestro, “La Scala”, n. 29, Milano, 15 marzo 1952, pp. 33-36.

 

5.  Dalle Conferenze commemorative tenute a Roma, Milano e Paderno nel 1934. Stralcio da “Musica d’oggi”, a.  XVI,   n.7, Roma, luglio 1934.

 

 

 

 

Amilcare Ponchielli che era stato maestro di composizione di Giovanni Tebaldini

 

 

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