ILDEBRANDO PIZZETTI

Parlare di Ildebrando Pizzetti1 e di Giovanni Tebaldini significa ricostruire, in primis, i quattro anni in cui quest’ultimo fu autorevole direttore del Regio Conservatorio di Parma, carica da cui gli derivarono grandi soddisfazioni, ma anche aspri contrasti, per la sua ferma volontà di innovare una struttura scolastica obsoleta e di affermare ideali artistici fuori dai canoni abituali.

Subito dopo il suo insediamento Tebaldini iniziò l’azione riformatrice, tendente, tra l’altro, a combattere “lo scolasticismo mascherato di dottrina” e la “faciloneria estemporanea”.

Tra i frequentanti il corso di composizione, individuò un allievo diciassettenne, Ildebrando Pizzetti, “pensoso e riflessivo, scrutatore e indagatore di uomini e di cose”, e sentì il desiderio di occuparsi di lui, avendo intuito “una tempra di rara elevatezza morale e di vibrante sensibilità artistica”.

“[…] Venivo – ricorda Tebaldini - dall’aver ricostituite due Cappelle Musicali: la Marciana di Venezia e l’Antoniana di Padova, dopo otto anni di lotte feconde per la resurrezione della classica polifonia. Gli chiedo se conosca qualcuno dei nostri grandi compositori cinquecenteschi; se abbia avuto modo di accertarsi della bellezza del canto gregoriano.

- Soltanto per quello che ne accennano i manuali di storia della musica – questa la sua risposta.

Lo esorto a cercare di penetrare in quel mondo arcano pressoché ignorato. Mi accorgo che le mie parole sono ascoltate con interesse e che nel di lui animo destano già vivo desiderio di conoscere e di sapere. […] Gli prometto di leggere assieme alcune delle grandi composizioni cui ho accennato, e lo vedo uscire dal mio studio contento. Più di lui però – dopo questo primo incontro – rimango io soddisfatto e fiducioso! […] Ciò che assieme leggemmo e studiammo – e dico di proposito studiammo – ha ricordato egli più volte, ma lo rammento anch’io innanzi, non con le parole riconoscenti indirizzatemi in quei lontani giorni, sibbene coi ricordi e coi giudizi più recenti.

Fin dagli inizi della mia vita direttoriale abbraccio il principio che occorra mettere gli allievi di composizioni a tu per tu con se medesimi. […] In quel tempo in fatto di istruzione prevaleva il criterio che un direttore d’Istituto non avesse il diritto d’occuparsi dei propri allievi oltre i limiti della scuola. Invece io, fin dal primo giorno, mi studio di battere la strada opposta. L’educazione della mente, per me, doveva camminare di pari passo a quella dell’anima e del cuore; in breve amalgamarsi alla stessa formazione spirituale dei giovani onde riuscire a formare non soltanto dei musicisti, ma degli artisti nel vero senso della parola, ed uomini e cittadini degni di tali nomi.

[…] In siffatte condizioni di spirito ci impegniamo a vicenda nelle nostre discussioni serali per le strade di Parma. Non sempre alle mie affermazioni osa Pizzetti manifestare i suoi dubbi; ma anch’io comprendo che alla mia fantasia manca, purtroppo, quella possa che mi aiuti ad accompagnarlo decisamente verso la meta cui aspiro. Talvolta i nostri discorsi si interrompono d’innanzi alla facciata o all’abside monumentale d’uno de’ più bei templi della città farnesina; al coronamento marmoreo che la cinge; agli ordini di colonnine, sovrapponentesi su diversi piani, che adornano il severo Battistero duecentesco; alla decorazione scultorea di un Palazzo; alla voluta di un fregio barocco. Ed allora le nostre conversazioni si portano sul terreno della storia e dell’estetica dell’arte. Campo questo nel quale posso spaziare a miglior agio”.

E arrivavano a dissertare anche di filosofia: dalle teorie di Schopenhauer e Nietzsche alle idee fogazzariane sull’origine dell’uomo, che accostavano Sant’Agostino a Darwin.

Tebaldini ricorda ancora che nella primavera del 1898 Pizzetti gli presentò la sua prima composizione. Gli suggerì il titolo di “Extase” e, trovandola degna di apprezzamento, la fece eseguire, sotto la sua direzione, al Saggio Finale del 22 giugno.

“A titolo di premio e d’incoraggiamento disposi affinché Pizzetti potesse recarsi a Torino onde aver modo di assistere ai Concerti dati dall’Orchestra Toscanini all’Esposizione Nazionale; alla Settimana di musica sacra col canto gregoriano dei Benedettini di Solèsmes, ai Concerti d’organo di Enrico Bossi ed alle Lezioni su la polifonia palestriniana impartite dal Dr. Franz Xav. Haberl della Scuola di Ratisbona”.

E di questo suo primo viaggio formativo Pizzetti gli riferiva con dovizia di particolari, enumerando i benefici che ne aveva ricavato.

Contemporaneamente il direttore, nella Relazione presentata al Presidente del Conservatorio nell’ottobre dello stesso anno, esplicitava i principali obiettivi che intendeva perseguire. Per esempio, volle serie Esercitazioni d’assieme e che l’Istituto avesse una propria orchestra (permise le esibizioni dei ragazzi al Teatro Regio) e un coro (egli, infatti, desiderava - e qualcuno la considerava una fissazione - che tutti gli studenti fossero “in grado di emettere con la voce giusti suoni, d’intonare una frase, di modulare una melodia”). Poi istituì corsi di canto gregoriano e di polifonia vocale, convinto che i futuri musicisti dovessero “tornare all’antico” per conoscere le radiose radici dell’italianità e da esse ripartire per tracciare strade nuove. In altre parole, non potevano ignorare la cultura di base che proveniva dallo studio della storia musicale.

Il 29 aprile 1900 per la prima volta Tebaldini riuscì a portare a Parma Arturo Toscanini in concerto e fece in modo che fossero presenti tutti gli allievi di composizione.

Per la volontà di istruire, educare, aprire la mente a più larghe visioni, specie agli allievi di un conservatorio destinati a percorrere le vie dell’arte, organizzò corsi speciali di italiano, chiamò illustri conferenzieri e cominciò a leggere Dante, Manzoni e altri grandi autori della letteratura. Naturalmente Pizzetti lo seguiva con evidente partecipazione e rendeva partecipe Tebaldini delle composizioni che andava elaborando. Alla fine del giugno 1899, pochi giorni prima del Saggio finale, così gli scriveva: “Co’ miei auguri più sinceri e sentiti mi permetto di inviarLe il principio dell’Offertorio di San Giovanni che in causa del lavoro affaticante di questi giorni non ho potuto ultimare. Glielo invio del pari quale pallida testimonianza dell’affetto che porto a Lei. E colgo  l’occasione per ringraziarLa infinitamente delle premure che Ella continuamente si prende per me e della bontà con cui Ella vuol sempre trattarmi: bontà che lascia nell’anima mia una dolcissima e incancellabile impressione. Io Le chieggo scusa se non corrispondo sempre come dovrei ai di Lei desideri e la prego a voler accettare la dedica del mio lavoruccio che viene a Lei, in questo giorno, colla sola pretesa di ricordarLe che la mia mente ed il mio cuore sono sempre con Lei e per Lei”.

Nel concerto del 27 giugno Pizzetti propose L’Intermezzo sinfonico “Il sonno di Giulietta” e il Canto di guerra per coro ed orchestra dal Fingal di Ossian, anche questo con dedica al suo direttore, il quale, nell’anno scolastico 1900-01, lo  incaricò di reggere la Classe di Quartetto. “Credetti utile questo per la sua formazione intellettuale; né soltanto, ma giovevole ancora ai compagni esecutori, giacché l’essere guidati da un condiscepolo, musicista oramai formato; ricco a dovizia di sensibilità estetica e di senso critico; in grado di intuire, di scoprire e di additare le bellezze sostanziali e formali delle opere dei classici, prese ad eseguire e ad analizzarle mettendone in evidenza la portata […] non poteva – a mio modo di vedere – non giovare tanto a lui che a’ suoi collaboratori nell’iniziativa intrapresa”.

 

Poi Tebaldini fu travolto dai fatti di Parma (v. L’Odissea Parmense), i suoi programmi didattici strutturali, purtroppo, si interruppero.  Per qualche anno non intrattenne rapporti così intensi con l’ex allievo. Si stabilì a Loreto e, in qualità di direttore della Cappella Musicale della Santa Casa, riprese con impegno la sua azione sul fronte della riforma della musica sacra.

La corrispondenza ricominciò nel 1907, quando Pizzetti stava preparando le musiche per la “Nave” di Gabriele D’Annunzio, e proseguì ininterrotta. La rivista “Il Tirso” chiese a Tebaldini “notizie e ricordi” sul giovane musicista, ma egli, colpito dalla prematura morte della figlia Lina, dovette rinunciare. Pizzetti, per la triste circostanza, pubblicò sulla “Gazzetta di Parma” un sentito necrologio (vedi sezione “La Famiglia”).

Poco dopo Tebaldini venne nominato membro della commissione giudicatrice del concorso a professore di armonia, contrappunto e fuga al Regio Istituto Musicale di Firenze. Al momento di deliberare, gli altri componenti sollevarono eccezioni sul nome di Pizzetti, forse spaventati dalla sua fama di “rivoluzionario”. Con Antonio Cicognani, Tebaldini lo difese e minacciò di non firmare il verbale. La commissione comprese le  giuste ragioni e Pizzetti ebbe la nomina.

Quando nel 1912 il maestro si portò a Firenze per la Rappresentazione di Anima e di Corpo di Emilio de’ Cavalieri (che egli per primo in Italia aveva riesumato), si incontrarono ricordando le vicende, tristi e liete, del periodo parmense, ma soprattutto il “grande patrimonio di superba italianità che va dal canto gregoriano alla polifonia vocale, dalla monodia alle prime forme istrumentali […], come espressioni compiute e perfette di una sensibilità ed elevatezza che, per molti anni occultate e disconosciute, oggi soltanto possiamo dire comprese ed ammirate”.

Qualche mese dopo Pizzetti gli rivolse la riconoscente “Lettera dedicatoria” pubblicata, come premessa, al suo studio “Musica dei Greci” (v. L’Odissea Parmense) e Tebaldini nel 1930 lo ripagò con un libro di “memorie” sugli anni giovanili, dal tempo degli  studi a Parma al 1925. In quelle pagine rianalizzava, con grande acutezza critica, la produzione iniziale di Pizzetti  e la contestualizzava nel clima culturale della città emiliana tutta pervasa di entusiasmo melodrammatico. Tebaldini, che a suo tempo aveva esternato all’amico Giuseppe Verdi  le sue speranze sul futuro dello studente, donò a Pizzetti una lettera del Grande di Busseto a lui indirizzata.

Anche Pizzetti si occupò della musica del suo maestro. Più volte analizzò alcune sue partiture e nel 1938 all’Eiar di Torino diresse un concerto sinfonico comprendente Rapsodia di Pasqua.

Nel 1950, con Ronga e Bustini, lo propose per la nomina ad Accademico di Santa Cecilia: riconoscimento che, seppur tardivo, gli venne concesso all’unanimità.

Scrisse ancora Tebaldini:

 

 «[…] Qualcuno si domanderà quale sia stata in realtà la parte da me avuta alla preparazione artistica di Ildebrando Pizzetti. Su questo punto non potrei rispondere. Lo faranno gli altri se troveranno elementi su di cui indugiarsi.

[…] A ricordo di quelle lontane ore parmensi, per lui e per me tanto combattute, giunto sul limitare – o quasi – della estrema età, ho voluto fargli dono dei volumi contenenti le opere dei compositori della rinascenza cinquecentesca su di cui – sollevando lo sdegno del volgo – assieme abbiamo studiato.

Ecco le sue parole di gradimento: “Ricevendo e sfogliando i preziosi volumi di musica polifonica da lei inviatimi in dono ho ripensato a quei giorni in cui da lei ebbi la rivelazione della bellezza di tante antiche musiche e la prima rivelazione della potenza espressiva della polifonia vocale. E mi sono ricordato (ma non l’avevo mai scordato) di quel giorno in cui ella ci lesse, a me ed ai miei compagni, lo stupendo Mottetto di Cristoforo Morales: Emendemus in melius! Grazie ancora”.

[…] Il giorno in cui Egli [Pizzetti] viene elevato alla dignità di Accademico d’Italia ricevo questo telegramma: “Per la gioia che la mia nomina darà al maestro carissimo che non ha mai dubitato, io gli mando oggi il mio più affettuoso abbraccio”.

No! Io non ho mai dubitato, ed il premio concesso alla mia fede è stato appunto quello di aver potuto arrivare in tarda età seguendo, passo passo, la nobile ascesa dell’artista eletto il cui nome oramai è divenuto segnacolo di un’Idea destinata al più radioso avvenire. Idea e fiamma di passione che, a mio grande e legittimo conforto, ai loro inizi, si sono alimentate precisamente fra le mura dell’ex Convento del Carmine.

Forse ad assicurare all’Istituto parmense e alla storia dell’arte italiana questo orgoglio, non sono state vane colà la mia presenza e la mia tormentosa odissea».

 

Gli insegnamenti di Tebaldini a Pizzetti e i riflessi sulla sua produzione artistica sono stati evidenziati anche di recente al Convegno “Pizzetti oggi”, tenuto a Parma nel dicembre 2002, in particolare dal Prof. Gian Paolo Minardi, relatore e animatore dell’iniziativa (vedi “Studi recenti”).

In quella sede la Dott.ssa Federica Riva ha tenuto a sottolineare che le aperture interdisciplinari di Tebaldini avevano influito anche sull’attività di Pizzetti scrittore e critico musicale.

Significative testimonianze del lungo, costruttivo sodalizio fra i due sono rintracciabili pure nel Lascito Pizzetti alla Sezione Musicale della Biblioteca Palatina di Parma annessa al Conservatorio. La Dott.ssa Raffaella Nardella ne ha illustrato la consistenza2, precisando il numero delle lettere di Tebaldini a Pizzetti, alle quali vanno aggiunte quelle (una settantina) che si trovano presso l’Archivio Storico dell’Enciclopedia Italiana, di cui Pizzetti dirigeva il settore musicale. E in tale veste, tra le altre, egli ha redatto la voce “Tebaldini”. 

Per uno strano destino, dopo essere stati accomunati per vari anni nell’oblio (T. per 50 anni, P. per 35), oggi, sia pur insufficientemente, questi due personaggi, che hanno avuto un ruolo di primo piano nella storia musicale italiana, vengono riproposti all’attenzione di quanti hanno a cuore l’arte del suono, così che pure le giovani generazioni possano apprezzare lo spessore del loro lavoro e la determinazione nell’affermare valori e idee.

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1.  Pizzetti Ildebrando (Parma, 1880 – Roma, 1968), compositore. Allievo di Telesforo Righi e di Giovanni Tebaldini al Conservatorio di Parma (1896-1901). Fu maestro sostituto del Teatro Regio della sua città e debuttò nel 1908 al Teatro Argentina di Roma con le musiche di scena per La Nave di D’Annunzio, legandosi d’amicizia col poeta che, successivamente, adattò per lui il testo della tragedia Fedra (1915). Insegnante al Conservatorio di Firenze dal 1908, lo diresse dal 1917 al ‘24. Negli anni fiorentini compose anche le musiche di scena per La Pisanella (1913) sempre di D’Annunzio, l’opera Débora e Jaele (1922) e una Messa di requiem per sole voci (1922). Fu direttore del Conservatorio di Milano dal 1924 al 1936. Di questo periodo sono Fra Gherardo e il Concerto dell’estate (1928), Lo Straniero (1930), La sacra rappresentazione di Abramo e Isacco (1931), La Rappresentazione di Santa Uliva (1933), Orsèolo (1935), la Sinfonia in la (1940). Dal 1936 al 1958 fu insegnante di composizione ai corsi di perfezionamento del Conservatorio di S. Cecilia a Roma, svolgendo nel contempo attività di critico musicale, saggista, direttore d’orchestra, librettista di se stesso e componendo opere quali L’oro (1947), Vanna Lupa (1949), Cagliostro (1953), La figlia di Jorio (1954), L’assassinio nella cattedrale (1958), Il calzare d’argento (1961), Clitennestra (1965). P. appartiene al gruppo dei musicisti nati attorno all’80 che all’inizio del secolo furono giudicati intenti a superare la condizione d’isolamento in cui il melodramma ottocentesco avrebbe relegato la vita musicale italiana rispetto agli ultimi sviluppi della musica europea. Nell’ambito del teatro, intese rinnovare l’opera italiana con un tipo di vocalità drammatica, consistente in un declamato capace di potenziare i sensi della parola mediante il recupero del “recitar cantando” fiorentino, della polifonia antica e soprattutto del gregoriano, mettendo a frutto gli insegnamenti appresi alla scuola del Tebaldini.

 

2.   a) Epistolari e documenti vari

[…] Significativo e cospicuo l’epistolario di Giovanni Tebaldini, figura chiave per la formazione musicale del giovane Pizzetti, che comprende 243 lettere dal 1908 al 1952. Dalla lettura emerge lo stretto rapporto di amicizia fra il giovane allievo e il direttore, didatta e amico dal quale Pizzetti assimilò il culto del gregoriano e lo spirito religioso che diventeranno elementi fondamentali della sua arte.

Gli anni trascorsi in Conservatorio - le lezioni di polifonia vocale, la visita all’Abbazia di Torrechiara dove la classe di composizione di Tebaldini ascoltò il canto gregoriano dei Benedettini, la gita a S. Agata dove il giovane Pizzetti vide Verdi come “un’apparizione di sogno” e i saggi scolastici - sono più volte rievocati da Tebaldini nelle lettere a Pizzetti, con amarezza per il mancato riconoscimento al suo operato e, nel contempo, con soddisfazione poiché dopo tanti anni poteva raccogliere, nei successi sempre crescenti del suo allievo, i frutti del suo insegnamento. Vicini per affinità spirituale e ideologica, Pizzetti e Tebaldini erano accomunati anche dalla fede verdiana che mantennero integerrima per tutta la vita e dall’atteggiamento di rispetto e di difesa della tradizione operistica ottocentesca, di cui Verdi era considerato il Nume tutelare. Il nome e la figura del sommo Maestro, la sua moralità della vita e dell’arte, che accompagnarono il musicista bresciano per tutta la vita, sono più volte ricordati nelle lettere a Pizzetti specialmente nelle occasioni celebrative, cui entrambi, fino all’ultimo anniversario verdiano del 1951, offrirono il loro contributo con saggi e conferenze […].

      b) Libri e periodici di interesse musicale

      La sezione comprende le opere più significative della nascente musicologia italiana (Torrefranca, Casimiri, Della Corte, Gatti, Mila, Pannain, Tebaldini) e gli scritti critici di e su Pizzetti. […]

      d) Musica manoscritta

      I 36 manoscritti autografi di Pizzetti che si conservano nello studio - la maggioranza dei quali non pervenuti con il lascito ma acquistati nel 2000 presso la LIM antiquaria di Lucca - sono costituiti principalmente da lavori di scuola, prove d’esame e composizioni giovanili, già rivelatrici di alcune caratteristiche del linguaggio pizzettiano e quasi tutte inedite: Extase , su versi di Victor Hugo, la prima partitura sinfonica eseguita nel saggio finale del Conservatorio il 22/06/1898, che rivelò le doti del giovane Pizzetti, Canto di guerra dal Fingal di Ossian, per coro e orchestra, con la dedica a Giovanni Tebaldini, pure eseguito in un saggio finale del Conservatorio il 27/06/1899, Kyrie e Gloria di una Messa-oratorio che assieme ad un Sanctus oggi perduto furono eseguiti nella Cattedrale di Cremona il 30/02/1902. […]

      […] Oltre gli autografi pizzettiani - tutti scrupolosamente datati dall’autore non solo alla fine, ma anche all’inizio della composizione e ogni qualvolta sospendeva e riprendeva il lavoro - vi sono alcuni autografi di altri musicisti cui Pizzetti, che pur non era raccoglitore di cimeli e non amava possedere autografi, attribuiva grande valore affettivo: fra questi, due mazurke di suo padre Odoardo, due composizioni di Tebaldini [Canto di penitenza, Il sacro poema della Pentecoste di Tebaldini (la seconda datata Loreto, Pasqua 1938)], una di Mario Castelnuovo Tedesco, una di Nino Rota e una di Mario Pilati […]

 

(Le dichiarazioni di Tebaldini sono tratte da Pizzetti allievo, “Rassegna Dorica”, a. XI, n. 7, Tivoli, 20 settembre 1940, e da Ildebrando Pizzetti nelle “memorie” di Giovanni Tebaldini,  ed. Fresching, Parma, 1930).

 

 

 

 

Il musicista Ildebrando Pizzetti, allievo prediletto di Tebaldini

 

 

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