L'ULTIMA DIMORA

 

 

Giovanni Tebaldini entrò in rapporto con il Piceno per mezzo della figlia Brigida (Dina) che dal 1935, vinto il concorso magistrale (regionale), fu assegnata al Trivio di Ripatransone e, coniugatasi, si trasferì a San Benedetto del Tronto. Allora il musicista abitava a Loreto dove aveva diretto per ventidue anni la Cappella Musicale della Santa Casa, ma, dopo il collocamento a riposo, girava l’Italia per insegnare, tenere conferenze, dirigere concerti, soddisfare incarichi ministeriali. Andava in vacanza nella quiete del Trivio e, più tardi, nella città adriatica, dove si stabilì definitivamente nel periodo della guerra, in una casa di campagna, oggi al n. 134 di Via Asiago.

A quei tempi San Benedetto aveva la connotazione di un borgo marinaro senza grandi vocazioni culturali, ma egli seppe ugualmente trovare buone amicizie che gli permettevano di intrattenersi su argomenti musicali. Per esempio, con il Dottor Ludovico Giovannetti e l’oculista Giovanni Bozzoni, entrambi appassionati di musica. Il primo aveva una figlia soprano, Lari, che stava calcando le scene dei teatri lirici; il secondo collezionava strumenti musicali e costruiva violini. A lui Tebaldini donò la sua ultima bacchetta di direttore d’orchestra avuta dalla Corale dall’Associazione “Alessandro Scarlatti” di Napoli di cui, nel 1919, era stato uno dei fondatori e per la quale aveva organizzato indimenticabili concerti. I due medici avevano costituito una Società musicale che animava le serate del locale Circolo Cittadino. Su incarico degli stessi, Tebaldini il 10 ottobre 1951 (giorno della nascita di Verdi) tenne l’ultima conferenza (la n. 172 della sua carriera) per commemorare il Maestro di Busseto nel cinquantenario della morte.

Il critico bolognese Mario Medici, inviato dal “Giornale dell’Emilia”, scrisse, tra l’altro: “[…] fosse vivo oggi che non ci sono più i Tebaldini a imporre nei conservatori i dogmi del gregoriano e della polifonia, sarebbe il primo lui, Verdi, a rendere omaggio al vegliardo che vive qui a San Benedetto. […] Sarebbe il primo, Verdi, a dire grazie a un maestro che in piena febbre romantica indicò agli italiani il gusto della indagine storica, e li indirizzò alle fonti del gregoriano, e li illuminò sulle origini nobili del melodramma, e li guidò nella produzione strumentale e vocale di interi secoli chiusi in soffitta dall’Ottocento, e li mise di fronte – specialmente – al fatto compiuto di una polifonia maestosa che trova il suo vertice in Palestrina. […]”.

A San Benedetto il più assiduo interlocutore di Tebaldini era il direttore didattico Enrico Liburdi, illustre storico marchigiano, che lo aiutava quotidianamente a ordinare la biblioteca, i documenti, la corrispondenza e che, dopo la sua morte, gli aveva dedicato articoli e la pubblicazione La lunga giornata di un artista. Giovanni Tebaldini (vedi “Antologia critica”).

Nella città rivierasca venivano in villeggiatura da Roma il direttore d’orchestra Vincenzo Bellezza e da Bologna il musicista Antonio Certani che lo frequentavano. Inoltre, a Villa Rosa si era trasferita la soprano bolognese Grazia Franchi Ciancabilla, interprete dell’ultima opera di Tebaldini composta proprio a San Benedetto nel 1947, su versi di Ada Negri, Padre, se mai questa preghiera giunga al tuo silenzio, riproposta nell’aprile 2002 durante la seconda “Rassegna Internazionale di Musica Sacra” di Loreto. La cantante nel suo salotto organizzava concerti e incontri. In quelle occasioni il Tebaldini si lasciava andare a narrazioni del suo lungo percorso artistico e sui personaggi con cui era stato in familiarità.

Quando egli andò ad abitare con la famiglia della figlia in via Crispi n. 28 (oggi 66), si recava costantemente presso i Padri Sacramentini dove dava anche lezione di pianoforte ad allievi che beneficiavano dei suoi insegnamenti. Nel 1944 compose per loro Inno alla Madonna del SS. Sacramento; nel febbraio dell’anno successivo tenne per i seminaristi una conferenza su “Scienza e Fede” e il 7 aprile, nella Chiesa del Sacro Cuore dei Padri Minori Conventuali, quella “Per la Fede”.

Data l’età, i suoi spostamenti da San Benedetto divennero più rari, ma collaborava sistematicamente a riviste specializzate e quotidiani. Fu nel periodo sambenedettese che pubblicò importanti saggi: Per la resurrezione de la musica sacra sulla “Rivista Musicale Italiana”; Un nido di memorie (rievocazioni di esperienze personali in sette puntate) su “L’Italia”; per la stessa testata due puntate sui rapporti con Antonio Fogazzaro, una su Pio X (che agli inizi del Novecento gli aveva affidato il compito di applicare la riforma della musica sacra esplicitata nel “Motu proprio”); un articolo su I settant’anni di Lorenzo Perosi per “La Domenica”. Altri suoi importanti scritti apparvero successivamente su “Musica”, “Mondo Musicale”, “Il Giornale di Brescia” che nel 1948 ospitò apprezzati ricordi su Arrigo Boito (due puntate) e Arturo Toscanini (tre puntate), anch’essi suoi amici di strada. Il celebre direttore d’orchestra gli fece giungere parole di apprezzamento e il 6 luglio Tebaldini gli indirizzò questa lettera: “Ad Arturo Toscanini porgo sensi di viva gratitudine e di riconoscenza per le parole buone e di compiacimento avute per me con l’amico Enrico Polo [cognato di Toscanini] a riguardo dei due articoli su Boito pubblicati sul “Giornale di Brescia” il 6 e 10 giugno p. p. Nella forzata solitudine in cui sono costretto a vivere, lontano da tutto e da tutti, mi conforta e mi consola grandemente la Voce di Lui, Maestro insigne, che, dalle cime cui è arrivato, non isdegna esprimere il Suo compiacimento a chi nell’ombra e nel silenzio, per la propria intima Gioia e per la Gioia altrui, ama rievocare le ore gaudiose del passato onde riviverle, pur da lungi, nelle ore del presente. Al Maestro ed all’Amico dei giorni combattuti e pur densi di vita trascorsi con fede nel Santuario ove Egli mosse i primi passi su le vie dell’Arte, da povero morituro (Ave Caesar, morituri Te salutant) e dal profondo del Cuore e dell’Anima, porgo il mio Grazie vivissimo. E un caldo fraterno abbraccio”. Il Maestro gli inviò una foto con la seguente dedica: ”A Giovanni Tebaldini… / ricordando tempi lontani e cari eppur / vicini nella memoria dolce e viva. / Affettuosamente – Arturo Toscanini / (24 - 7 - 1948)”.

A San Benedetto trascorreva il tempo anche rivedendo alcuni suoi spartiti musicali, per esempio Voci del Cuore, scritto nel lontano 1887, su versi di Giuseppe Lesca, nato a San Benedetto del Tronto e poi, da letterato, anch’egli in giro per l’Italia. Rivide pure Lux in tenebris, sette liriche su versi da “Miranda” di Antonio Fogazzaro a cui aggiunse “Da te, da te, solo da te!” che dedicò al famoso critico de’ “Il Messaggero” Mario Rinaldi, al quale lasciò importanti testimonianze perosiane. Di tanto in tanto, oltre a Rinaldi da Roma e ad Abbiati da Milano, arrivavano a fargli visita il critico Medici da Bologna, autorevoli studiosi e operatori della Rai per qualche intervista. Altra sua composizione per orchestra ultimata a San Benedetto tra febbraio e maggio 1945 - sulla quale il musicologo Luigi Inzaghi di Milano e il giornalista Luciano Marucci di Ascoli hanno curato un volumetto di grande interesse - fu Epicedio, in onore dei Martiri Lauretani Fratelli Brancondi, trucidati dai Tedeschi a Castelfidardo nel ‘44, che fu eseguita nel ’48 dalla “Scarlatti” di Napoli, ripetuta, con grande successo, a Loreto nell’ambito della predetta Rassegna.

Nel 1950 Tebaldini ricevette la nomina ad Accademico di Santa Cecilia. Nella sua dimora sambenedettese arrivarono molti telegrammi; gli furono dedicati articoli, ma egli non si mostrò pienamente soddisfatto, perché il riconoscimento era giunto tardivamente.

Nel 1951 su “Atti e Memorie” venne ripubblicato un suo discorso, tenuto nel 1924 a Maiolati, su Gaspare Spontini, e sempre Abbiati gli chiederà l’impegnativo saggio su Verdi “Fuori del teatro”, incluso in un’accurata pubblicazione del Teatro alla Scala per l’anniversario verdiano in cui appariva in compagnia delle firme più autorevoli della critica musicale italiana.

Molto altro tempo egli lo impiegava per il disbrigo della corrispondenza con personaggi del mondo culturale, principalmente con il suo allievo prediletto Ildebrando Pizzetti sempre seguito con affetto paterno, fin dai tempi in cui Tebaldini era stato autorevole direttore del Conservatorio di Musica di Parma, invogliandolo a scoprire le bellezze del canto gregoriano che Pizzetti seppe far rivivere con nuove intuizioni nella sua fertile produzione.

Colpito da forte sordità (accomunava il suo destino a quello di Beethoven), “spaziava con l’anima sul vasto mare dei ricordi e pei cieli luminosi della speranza” (Vittorio Brunelli, 1953). Eppure il suo spirito intraprendente non era ancora domo. “Il 4 aprile 1952, a pochi giorni dalla paresi che lo colpì e che lo condurrà alla morte l’11 maggio, scrivendo al Comm. Leonzio Foresti circa le onoranze a Luca Marenzio, manifestava il proposito di una ‘comunicazione’ sul musicista bresciano, suo concittadino, per l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia”. Una lettera dell’11 aprile ’52 (probabilmente l’ultima, anche perché non conclusa e rimasta sul suo scrittoio) è indirizzata alla moglie di Francesco Cilèa, suo sincero amico che, al momento del pensionamento, nel 1925, lo aveva chiamato al Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli, che egli dirigeva, per tenere la cattedra speciale di “Esegesi del canto gregoriano e della polifonia palestriniana”: “Avrei avuto il dovere di essere più sollecito nel ringraziarLa della Sua del 23 xmbre [dicembre]. Non l’ho fatto perché gravemente percosso da miei malanni; in certi momenti mi sentii sull’orlo della fossa. Quando mi risvegliai, m’accorsi d’avere parecchi debiti da soddisfare, e fra i primi metto quelli che avevo con Lei e con la memoria del caro Illustre Maestro che nella vita Le fu prezioso compagno. Forse Lei ha letto quello che nella “Scala” ho cominciato a dire di “Ponchielli”. Il seguito apparirà a giorni nel n° di aprile della rivista. Ma quanta fatica! Non mi sento più capace di nulla, e mi assediano da ogni parte. L’amico Baccaredda mi scrive da Palermo che sostando a Roma, s’è incontrato con Lei. Ciò m’ha fatto piacere. Potessi anch’io fare altrettanto! Invece son qui, e qui rimango, sino a quando mi porteranno a Loreto per l’ultima volta, senza che io me ne accorga. Ah, Signora Rosy, cos’è mai la vita! Ma perché il Signore – nel quale io credo – mi ha mantenuto in vita fino alla vigilia degli 88 anni? A che fare? A dar fastidio agli altri!”.

Franco Abbiati, critico musicale del “Corriere della Sera” (tra l’altro autore di una Storia della musica in cinque volumi e di un Verdi in quattro), che si considerava suo allievo e a lui era legato da amicizia filiale, quando aveva iniziato la pubblicazione della prestigiosa rivista “La Scala”, lo chiamò a collaborare con saggi su Berlioz contro Palestrina, su Pio X, Giuseppe Verdi, per finire con due puntate su Amilcare Ponchielli, maestro di composizione di Tebaldini al Conservatorio di Milano, del quale ha lasciato un ricco studio monografico rimasto inedito. L’articolo Cielo e mar, dedicato appunto al musicista di Cremona, apparve il 15 aprile 1952, quando egli era già gravemente ammalato. Su “La Scala” di giugno Abbiati, come necrologio, riporta due lettere di Tebaldini del 14 e del 28 marzo “sempre tanto care, tanto dense di presagi e colme di ricordi”. La prima è quasi un addio agli amati luoghi lombardi “ove, con Bossi, s’andava a uccellare con le canne di vischio, per finire la domenica a suonare l’organo in parrocchia”. Nella seconda parla del suo articolo su Ponchielli: “[…] Adesso occorre dire di Gioconda e lo farò valendomi d’alcune lettere importantissime del povero Maestro. Il quale ha fatto di tutto per scansarsi dal musicare il libretto di Boito. Credo sia stato Giulio Ricordi ad imporgli l’aut aut: o magna sta minestra o salta sta finestra. […] Racimolando qua e là pagine sparse di cose mie, ho potuto raccogliere le liriche Dolori  ed ebbrezze  [Ebbrezze de l’anima] alle quali metterò in fronte il facsimile della lettera di Verdi col suo giudizio. […] Vorrei dirti aufwiedersehen, ma temo che il rivederci sarà molto difficile per entrambi. Intanto ti voglio far presente una cosa che desidero tu sappia e cioè che la mia tomba al Cimitero di Loreto è stata già fissata… e pagata”. Abbiati conclude: “Questa la sua memoria, la sua poesia, il suo brio. Questo l’animo di Giovanni Tebaldini, il papà spirituale di tutti noi che viviamo oltre i cinquanta. Maestro d’amore e di dottrina, esempio di tenacia e serenità che non è più”.

Intelligenza fertile e creativa, spirito indomito e vitale, mente lucida, sensibile e ricca di fermenti, Tebaldini non accettava il declino fisico che lo costringeva a tirarsi fuori dal contesto culturale, dall’intensa vita di relazione, dai successi a lui abituali, dalle battaglie ideologiche, dalle polemiche musicali. Sentiva di aver fatto il suo tempo, ma sapeva anche di lasciare una preziosa eredità intellettuale.

L’omaggio di San Benedetto, che ricorda il suo nome nell’intitolazione di una via della zona nord, è un altro contributo per riportare alla luce i meriti di una indiscussa personalità che i giovani non devono ignorare per il talento, gli ideali artistici, l’impegno etico-morale, il messaggio ricco di umanità.

 

[Per approfondimenti, vedi Convegno L’opera di Giovanni Tebaldini nel Piceno, nella sezione del sito Manifestazioni postume / Altri eventi]

a cura del Centro Studi e Ricerche “Giovanni Tebaldini”
 

 

 

Il Maestro Giovanni Tebaldini durante l’ultima commemorazione di Giuseppe Verdi (10 ottobre 1951)

 

 

back home