L'ODISSEA PARMENSE

 

 

In quale ambiente socio-politico-culturale si era trovato ad operare Giovanni Tebaldini a Parma nel quadriennio 1897-1902?

Apparentemente in un contesto aperto e ricettivo, tanto che nel 1897, pur dirigendo con soddisfazione la Cappella Musicale della Basilica di Sant’Antonio a Padova, da più motivi si sentì sollecitato a presentare domanda al posto di direttore del Regio Conservatorio di quella città. Innanzitutto per l’amicizia con Verdi (iniziata nel 1894), che idealmente reggeva le sorti della vita musicale nazionale, e in particolare parmigiana, al quale Tebaldini voleva avvicinarsi abitando il Maestro prevalentemente nella vicina villa di Sant’Agata.

Inoltre, era stato incoraggiato dal suo predecessore, Giuseppe Gallignani1, che egli conosceva dal 1886, quando, ancora studente del Conservatorio, collaborava al periodico “Musica sacra” diretto dal Gallignani stesso.

Non ultima la voglia di applicare le sue idee e di trasmetterle agli allievi, attraverso una didattica ben motivata.

Grazie ai titoli accumulati (tra cui diversi premi ricevuti), superò gli altri concorrenti ed ebbe la nomina con Regio Decreto del 9 dicembre. A 33 anni era il più giovane direttore di conservatorio d’Italia, animato da grandi propositi2.

All’inizio tutto filò liscio, anche se dovette rimboccarsi le maniche e affrontare una radicata situazione di irregolarità e carenze.

E da più parti erano stati apprezzati i suoi sforzi di rendere l’istituto efficiente sotto il profilo organizzativo e didattico. Egli, infatti, aveva cercato di ammodernare le strutture scolastiche e quelle del convitto; di ottenere dai professori e dagli impiegati una collaborazione costruttiva; di aprire le menti degli allievi a nuovi orizzonti.

Convinto che i futuri musicisti dovessero avere una formazione seria e interdisciplinare, invitava a parlare letterati (Fogazzaro, Panzacchi, Lesca, Albini, Oliva); disponeva per l’arricchimento della biblioteca con testi non soltanto di cultura musicale; curava le esercitazioni strumentali d’assieme, tanto che gli studenti erano in grado di suonare in orchestre esterne e spesso venivano richiesti dal Teatro Regio per spettacoli di prim’ordine; si adoperava perché i giovani delle ultime classi assistessero a rappresentazioni di importanti autori e a concerti con famosi direttori, come Hans Richter, Giuseppe Martucci e Arturo Toscanini; istituiva un corso di canto gregoriano e polifonia per far meglio conoscere la grandezza dei maestri della gloriosa tradizione italiana; promuoveva l’approvazione di un nuovo Statuto.

Di fronte a tanto fervore operativo, la stampa esaltava le iniziative tebaldiniane. Alcune testate, tra cui la “Gazzetta di Parma”, non tralasciavano occasione per evidenziare il dinamismo, le innovazioni introdotte, le esercitazioni degli allievi, i concerti di grandi esecutori da lui voluti. Ma le cose cambiarono nel volgere di qualche mese, molto per ragioni politiche - è vero – ma anche per l’indole degli stessi parmensi, chiusi nel loro “ducato borghese” economicamente solido e intellettualmente reazionario, che mal sopportavano coloro che potevano sovvertire l’ordine consolidato, con novità “ideologiche”.

La Loggia Massonica Parmense, preferendo un direttore più incline al teatro d’opera, complice l’accesa ventata verdiana, iniziò una pretestuosa campagna denigratoria nei confronti di Tebaldini e volse in negativo quelli che erano i suoi meriti.

Le avvisaglie di un dissenso, che da latente andava facendosi più aperto, si ebbero nel novembre del 1899, quando egli dovette usare tutta la sua energia per far assegnare il posto gratuito in convitto a Vito Frazzi3, non abbiente e di sicuro avvenire artistico (come il futuro dimostrerà), invece che a un raccomandato (figlio del  giornalista Grazioli) dalle scarse capacità. Il giornale “Gazzetta Industriale” uscì con una critica e una vignetta satirica, nonostante i saggi degli studenti, gli omaggi a Verdi per il sessantesimo dalla prima dell’Oberto conte di S. Bonifacio e per i suoi ottantasette anni, avessero avuto un entusiastico riscontro.

 

Nel maggio 1901 il Ministro della Pubblica Istruzione Nunzio Nasi4 restituì approvato il nuovo Statuto elaborato da Tebaldini recante sostanziali modifiche, tra le quali l’obbligo dello studio del canto gregoriano e della polifonia per gli allievi di composizione e la partecipazione degli altri alle esercitazioni d’assieme. Guarda caso, sempre in maggio (giorno 30), l’Onorevole socialista Guido Albertelli5 presentava un’interrogazione alla Camera dei Deputati sulla conduzione del Conservatorio e il giornale “L’Idea”, diretto dallo stesso parlamentare, andava pubblicando articoli contro Tebaldini. E sui muri di Via del Carmine (oggi Via del Conservatorio), apparvero le scritte: “La F[orca] a Tebaldini”; “Via Tebaldini!”. Così Pietro Mascagni, che qualche anno dopo a Pesaro si troverà a vivere una vicenda analoga, ironicamente diceva al suo amico: - Ho saputo che a Parma ti hanno intitolato una via!

A quel punto, sicuro di aver agito per una giusta causa, fu Tebaldini stesso a chiedere l’intervento di un’ispezione ministeriale. Il 15-16 giugno fu a Parma il Professor Gian Jacopo Agostini, Provveditore agli Studi di Macerata che trovò tutto in regola.

Il periodico “La Scintilla” del 27 luglio 1901 focalizzava le motivazioni di fondo del contrasto:

[…] sono di fronte [da un lato] un uomo autoritario e troppo invogliato di riforme, dall’altro interessi lesi, abitudini secolari, suscettibilità forse morbose, forse abusi che si ribellano e recalcitrano: lo scoppio di un conflitto era inevitabile, senza contare che vi è chi dice che vi sia, come retroscena, anche una questione politico-religiosa. […]

 

L’Albertelli tornò all’attacco con una seconda interpellanza e il Ministro dispose un’inchiesta parlamentare nominando tre membri: il Prof. Alberto Dal Prato, presidente della Loggia Massonica, incompetente in materia musicale perché insegnante di scienze; il Maestro Amintore Galli6, chiaramente di parte, in quanto era stato in polemica sulla stampa con Tebaldini e, a detta di qualcuno, aspirante alla direzione di quel Conservatorio; Fulvio Pellacani, della Prefettura, che partecipò a due sole riunioni.

Il quotidiano “L’Idea” rese più incalzante la dura battaglia denigratoria, cominciata il 10 novembre 1900, nella quale, nel settembre successivo, si inserì con una lettera anche il Professore di Composizione del Conservatorio Telesforo Righi7, docente di Ildebrando Pizzetti8, che fino a quel momento aveva sempre intrattenuto buoni rapporti con Tebaldini, tanto da essere prescelto a sostituirlo nelle assenze.

La “Gazzetta di Parma” e altri giornali locali continuavano a difendere il direttore e così pure alcuni docenti e allievi tra i quali, appunto, Pizzetti. E sarà proprio lui a sostenere il suo direttore scrivendo due lettere alla “Gazzetta di Parma”9.

Dal libro Ildebrando Pizzetti nelle “memorie” di Giovanni Tebaldini (Fresching, Parma, 1931) si evince che il 12 settembre di quell’anno il direttore scrisse all’allievo:

[…] Poiché la mia coscienza ha pur bisogno di sentirsi tranquilla, così io ti prego dirmi con sincerità – ora che lo puoi – se credi che a te la mia presenza in Conservatorio abbia recato o meno qualche profitto morale ed intellettuale. […]

 Pizzetti rispose subito:

[…] Ella, coi suoi consigli ed ammaestramenti, mi ha portato su un alto monte dal quale si domina il più ampio orizzonte e sul quale a lettere d’oro sta scritto: per l’arte. Di questo Le sono grato e riconoscente ora, e per la vita. […]

 Il 13 ottobre giunse a Tebaldini la comunicazione delle accuse contestategli.

Il 21 dicembre, in un circostanziato “Memoriale” inviato al Ministro, egli controbatté con prove inoppugnabili ogni addebito. Il Ministro nominò una Commissione Consultiva, composta da dieci alti magistrati che, dopo aver esaminato la documentazione, il 14 marzo 1902, all’unanimità, si pronunciarono in favore di Tebaldini (leggi più avanti le risultanze).

Nel frattempo Tebaldini, stanco di dover contrastare da solo l’azione di chi lo calunniava, anche per salvaguardare la dignità di uomo e di artista e per assicurare alla famiglia un futuro più tranquillo, aveva partecipato al concorso indetto dal Ministero di Grazia, Giustizia e Culto per il posto di Maestro Direttore della Cappella Musicale di Loreto.

Quando il 25 aprile 1902 gli furono comunicati i risultati favorevoli dell’inchiesta, avendo già vinto il concorso e accettato l’incarico di Loreto, non ritenne opportuno tornare a Parma.

Anche se il tempo gli darà ragione perché, ad esempio, lo stesso Ministro il 2 febbraio 1902 inviava ai direttori degli istituti musicali una circolare in cui raccomandava di adottare alcune innovazioni (le stesse introdotte da Tebaldini), gli rimase per tutta la vita l’amarezza per quegli accadimenti. Nonostante la vittoria, si considerava moralmente leso, per cui sempre tornò a parlare della vicenda soprattutto con le persone che conoscevano le sue qualità. Addirittura, nel 1904, inviò una memoria completa al Ministro della P. I. Vittorio Emanuele Orlando10 nella quale concludeva:

Alla E.V. chiedo riparazione dei torti patiti; da Lei attendo il conforto a cui ho diritto, il sollievo che mi ristori, l’atto di giustizia che mi rianimi. Io La prego di leggere nelle pagine del triste romanzo nel quale venni trascinato e di pensare con Alessandro Manzoni che se io, nell’addossarmi la missione di educatore, ho ricordato che dove comincia il pericolo non cessa il dovere; se al posto a me assegnato dovevo affrontare violenti a cui dispiaceva ciò che a me era comandato, pur tuttavia ho sempre creduto e credo tuttora che il soffrire per la giustizia è il nostro vincere, perché l’iniquità può avere delle minacce da fare, dei colpi da dare, ma non dei comandi!                            [CSRGT]

 Per Tebaldini, sempre in quell’anno, arrivava un’altra soddisfazione: il Ministro Nasi “in istato d’arresto per le sue malefatte veniva sottoposto al giudizio dell’Alta Corte di Giustizia.

Nel 1910 il Ministero della P. I. costituì una Commissione che riferisse sui bisogni economici dei conservatori e sullo stato dell’insegnamento artistico. Fra i componenti vi era Giovanni Tebaldini. Pizzetti, prendendo spunto dalla notizia, scrisse un lungo articolo in favore del suo maestro su “La Nuova Musica” di Firenze (n. 202 del 5 dicembre 1910):

[…] Dovevano passare nove anni perché, riconoscendo la bontà della sua opera di Direttore, si riconoscesse implicitamente l’infamia di quella misteriosa inchiesta […]. Ma meglio assai di rendergli giustizia ora, riconoscendo i suoi meriti e la sua assoluta incolpabilità, meglio assai sarebbe stato, nove anni orsono, conservare a lui quella stima e quel rispetto di cui egli era degnissimo, e conservare al Conservatorio di Parma la sua operosità instancabile, intelligente e benefica.

 

Negli anni Tebaldini ricevette molte testimonianze di solidarietà e stima. Quelle a lui più care portavano la firma  di Ildebrando Pizzetti, come la Lettera dedicatoria, contenuta nello studio storico-critico La musica dei Greci (Casa Ed. “Musica”, Roma, 1914, pp. I-III), e Caro Conservatorio del Carmine, apparsa nella rivista parmense “Giallo e Blu” del 1950.

Carissimo Maestro,

si ricorda?… Quattordici anni or sono Ella iniziava al Conservatorio di Parma le sue belle lezioni di Canto gregoriano, invitando ad assistervi gli alunni delle Scuole di Composizione.

Si ricorda? Non so. Ma ben me ne ricordo io, ed ho sempre in mente i suoi insegnamenti preziosi, e ricordo il fervore che faceva vibrare la Sua voce, mentre Ella si studiava di far comprendere e sentire ai giovani discepoli la divina bellezza delle antiche melodie onde volle essere espressa la fervida intimità degli uomini cui la parola di Cristo uomo aveva recato il conforto di una speranza suprema.

Ella parlava a noi giovani delle melodie liturgiche latine, e ce le faceva conoscere ed ammirare, perché in essa è un meraviglioso tesoro di espressioni che un musicista non può ignorare senza vergogna.

Ma c’era, …allora, chi voleva vedere nelle sue lezioni una pura e semplice manifestazione di clericalismo e di propaganda clericale!…

Ma non voglio ora ricordarle i per Lei tristi anni del Suo direttorato al Conservatorio di Parma; dico tristi per Lei perché la Sua intelligentissima opera di riforme didattiche, che avrebbe dovuto essere non solo riconosciuta ma benedetta, dentro e fuori del Conservatorio, fu avversata, osteggiata accanitamente senza ragione alcuna…

Io so, ed è la verità vera, che anni fecondi di buoni risultati ce n’erano stati ben pochi, per il Conservatorio di Parma, prima che Ella se ne assumesse la direzione: e ve ne son stati anche meno, dopo.

E per me so che al Suo esempio e ai Suoi insegnamenti io debbo non solo alcuni degli anni di mia vita più dolci a ricordare, ma anche l’aver sentita la necessità di studiare amorosamente le antichissime musiche e teorie musicali.

De’ miei studi intorno alle musiche antichissime, latine e greche in ispecie, è testimonianza questo modesto opuscolo, ed io La prego di accettarne la dedica in segno della memore gratitudine e del non mutabile affetto che nutre per Lei il Suo

Ildebrando Pizzetti

Firenze, febbraio 1913

[…] I quattro anni durante i quali il Tebaldini – da molti incompreso o frainteso, e da molti osteggiato – diresse il nostro conservatorio rimangono senza dubbio i più belli i più fervidi i più fecondi che il nostro Conservatorio abbia vissuto da cinquant’anni; e forse non ne aveva avuto di altrettanto memorabili neanche prima. Prescindendo da tutto ciò che io personalmente m’ebbi da lui – la immediatezza della sua comprensione di uomo e di artista, il conforto della sua fiducia, il suo affetto di maestro e di amico fraterno - il Tebaldini fu il primo a rivelare a tutti noi scolari del Conservatorio la pura bellezza del canto liturgico latino, e la stupenda bellezza della polifonia vocale italiana e straniera dal Quattro al Seicento; e ci fu guida e maestro allo studio e alla conoscenza di innumerevoli musiche grandi, di ogni tempo e paese. Era il Direttore del Conservatorio, ma voleva anche essere ed era, per tutti gli alunni, un compagno un amico un fratello. […]

 

Il testo solidale di Mario Pilati11, apparso in “Fra Gherardo di Ildebrando Pizzetti” (Bollettino Bibliografico Musicale, Milano, 1928, pp.8-9), entra nell’argomento in maniera più diretta:

[…] Il Tebaldini […], non esitò a prenderlo [Pizzetti] sotto la sua guida spirituale, vigilandolo, proteggendolo ed aiutandolo in ogni modo, perché la sua educazione si compisse secondo la sua naturale inclinazione, favorendone i desideri di conoscenza e di ricerca, e mirando ad imprimere alla scuola stessa un’atmosfera di libertà entro la quale potersi muovere agilmente, senza gli impacci e i pregiudizi della mentalità burocratico-scolastica, imperante ed opprimente. Per questa sua opera il Tebaldini s’ebbe a quel tempo molte critiche e lotte accanite, per cui più tardi fu finanche costretto ad abbandonare il posto. Ma il seme era gettato e non mancò di dare i suoi frutti. Fu quello il momento in cui fu operata la sua benefica spinta verso quel risvegliarsi della coscienza musicale italiana che con Ildebrando Pizzetti doveva dare il segno più alto e certo.

[…] dall’argomento principale del canto gregoriano il Tebaldini prendeva le mosse per discussioni d’ogni più vario genere, dal musicale al letterario al filosofico all’estetico in genere. […] Né fu trascurato, anzi attentamente eseguito, lo svolgersi che si veniva compiendo nella espressione musicale dai varî paesi, nell’ora contemporanea, sì che da tutto questo fervore, da questa vita intensa di purissime emozioni e rivelazioni, dal Tebaldini promossi altresì con viaggi d’istruzione nelle principali città musicali, il Pizzetti ebbe a trarre tanto lievito per le sue successive riflessioni e conquiste. […]

 E, sempre Pilati, in “Bollettino Bibliografico Musicale” (a. IV, n. 11, Milano, novembre 1929), pubblicando un lungo articolo su Tebaldini, si soffermò sui tristi fatti di Parma:

[…] Tutte queste manifestazioni rispondono all’armonioso sentimento di un’unica missione da assolvere, in modi svariati ma convergenti, dominati da un’unica ispirazione e aspirazione: rinnovare e innovare, attraverso la passione di una cultura non sterilmente circoscritta, ma atta a spargere ovunque, di questo rinnovamento e innovamento, il seme buono.  Restaurare innovando è il motto che doveva far suo un giovane che il Tebaldini trovò fra gli allievi del Conservatorio di Parma, quando nel 1897 dalla Cappella patavina vi passò, nominato Direttore. Ecco la forma migliore e più feconda alla quale tendeva il Tebaldini per il suo apostolato, dopo gli anni trascorsi nel folto più vivo e vivente della nostra più luminosa storia e che avevano procurato ormai alla sua fede il materiale d’idee e di esperienza necessaria per passare in pieno campo teorico delle aspirazioni a quello pratico e fattivo delle realizzazioni: essere a contatto diretto coi giovani, far udire alla generazione nuova, quella destinata a dar vita e forma alla nuova realtà, la parola esperta e conscia del fine di un padre, di un fratello spirituale. Quel giovane, che il Tebaldini salutò nell’intimo del suo cuore con la stessa gioia di chi trovi alfine una zolla di terreno fertile e sostanzioso in mezzo all’aridità del deserto, era Ildebrando Pizzetti.

 

Deserto veramente arido e desolato era d’intorno, anche se non si può dire che l’attività del Tebaldini fino a quell’anno 1897 sia rimasta senza risonanza e senza qualche frutto assai confortante. Ma era una risonanza limitata ad un ristretto cerchio di spiriti eletti, quali quelli che abbiamo già in parte nominati. Quanto ai frutti, da cogliere in un campo più vasto, più popolare, bisognava fare attenzione che non divenissero troppo maturi e venissero a guastare la concorrenza amichevole e pacifica, borghesemente utilitaria, dei negoziatori ed amministratori ufficiali dell’arte, in quel tempo delle “buone cose di pessimo gusto”.

La gioia suscitata dall’incontro felice col giovane di cui parlavamo più sopra doveva costare ben cara al Maestro, in quanto essa aveva il torto di vieppiù infiammarlo nel compimento di un’opera troppo alta e disinteressata, perché potesse venir compresa da un ambiente di cose ed uomini contro il quale era giuocoforza mettersi in aperta posizione di battaglia, trattandosi di demolire barriere insormontabili costituite da vieti pregiudizi, da una balorda e caotica pratica scolastica, e, barriera più di tutte insormontabili, da un complicato ingranaggio di meschini interessi personalistici, tenuto su da uomini in cui l’inettitudine tecnica ed artistica era pari alla più elastica instabilità della coscienza.

Si era nel tempo del maggiore auge e imperio di quella consorteria di uomini, oggi fortunatamente e definitivamente debellata, facenti capo alle Loggie massoniche e ai falsi apostoli della demagogia socialistoide da tavolino e da osteria, da un lato, e dell’inconcludente “liberismo” dall’altro. Ogni eventuale espressione o intenzione di nuova vita nazionale era condannata ad atrofizzarsi dal non plus ultra programmatico del più polveroso e marcio conservatorismo, malamente giustificato da tradizioni invocate e conclamate a pie’ fermo, con occhi che non sapevano scorgere di esse il benché minimo segno di proiezione nel futuro; o, d’altra parte, contaminata dal veleno delle idee di disordine e di malintese rivendicazioni sociali. In tutti i casi, ostracismo a fondo per tutte le iniziative che venissero a urtare contro i sistemi di protezione dei propri interessi, per la cui indisturbata efficienza uomini dell’uno e dell’altro capo sapevano facilmente trovare il modo di mettersi d’accordo.

Tale il “clima” mentale e morale dell’Italia di allora, clima che, se aveva risparmiato il chiuso sacro raccoglimento del tempio, quando il Tebaldini accudiva alle cappelle delle basiliche veneziana e patavina, non poteva risparmiare un pubblico Conservatorio, organo governativo e municipale, fortilizio esposto a tutti i venti, quale quello di cui il Tebaldini aveva assunto la direzione. C’era, sì, il conforto della parola di un grand’Uomo, un uomo superiore, il quale gli aveva scritto in quell’occasione: “…Mi è caro rallegrarmi con lei Direttore del Conservatorio di Parma. E più mi rallegro con quell’Istituto musicale che avrà in lei un artista che saprà vincere gli inevitabili ostacoli alle riforme di cui abbisogna…”, ma ben più gravi e di diversa natura di quelli che Giuseppe Verdi (perché è di lui che si tratta) poteva immaginare, e con lui lo stesso Tebaldini, erano gli “inevitabili ostacoli” da superare, perché erano di quelli a cui la più salda fede e la più tranquilla coscienza di un artista non son mai preparate abbastanza. Così doveva essere, come vedremo, del Tebaldini, il quale cominciò subito a rimettere in sesto le traballanti fondamenta del vecchio Conservatorio, sia dal lato artistico che amministrativo, riformando programmi di studio, eliminando parassitari canonicati e deficienze riscontrate nel personale, propugnando nuovissimi orientamenti e l’istituzione di nuove discipline ad efficace integrazione dell’insegnamento, sì da renderlo non solo platonicamente “all’altezza dei tempi” (ché per quei tempi, la scuola era più che all’altezza: ma non lo era per i tempi che dovevano venire, e che il Tebaldini ben presentiva e coraggiosamente affrettava), ma rispondente a quegli ideali elevatissimi che nessun’epoca, per vile ed oscura che sia, vale a spegnere nel cuore di anche pochi uomini di vera fede, fra i quali, rara vis davvero il Tebaldini.

Riuniti al fianco gli allievi (e più di tutti al giovane Pizzetti erano idealmente dedicate le fatiche e le speranze del Maestro) egli ne scrutava l’intimo e cercava di farvi giungere quella luce di bellezza che promana dalle opere e dalla vita dei grandi nostri. Per questo scopo istituisce, per la prima volta nei Conservatori italiani, una classe di Canto gregoriano e polifonia vocale, da lui stesso assunta, e che oggi, per nobile e saggia iniziativa del direttore Francesco Cilèa, il Tebaldini ha ripreso nel Conservatorio napoletano di S. Pietro a Majella. Di quanto beneficio fu per i giovani allievi questa classe, ce lo attesta Ildebrando Pizzetti stesso nella lettera dedicatoria a Giovanni Tebaldini che precede l’oggi raro suo opuscolo sulla musica dei greci, documento prezioso di quello che fu il punto di partenza dell’esperienza pizzettiana.

Penetrando nel riposto e, per menti insensibili o superficiali, inaccessibile contenuto espressivo del canto gregoriano e sviscerando l’essenza dell’antica arte polifonica, fu possibile al Pizzetti materiare la sua arte di quella “vocalità” e “coralità” che ne sono i contrassegni, e che coincidono perfettamente, per aspirazioni e per risultati, coi caratteri che oggi la rinnovata arte italiana va presentando e sempre meglio definendo. Ma nella speciale classe tenuta dal Tebaldini, se alla musica convergevano tutti gli argomenti che in essa venivano trattati, questi non si restringevano ad un periodo storico, ad una sola attitudine creativa vista sotto il puro riguardo tecnico o storico, ma erano compresi in ogni più vario e vasto campo di indagini, di studi, di riflessioni e di considerazioni, riflettenti ogni periodo della storia dell’arte fino al contemporaneo, e non dell’arte musicale soltanto. Ciò per la peculiare caratteristica dell’opera tebaldiniana che abbiamo già lumeggiata: essere cioè tale opera non ispirata da una passione di cultura sterilmente circoscritta, bensì da una passione feconda che alla conoscenza e comprensione del passato musicale non poteva non associare quella ugualmente importante del presente e di ogni altra manifestazione dello spirito. Così, insieme con i canti della liturgia e colle opere di Palestrina e dei palestriniani, ai suoi giovani discepoli il Tebaldini veniva parlando dell’arte e dello spirito dell’arte di ogni più grande e meno grande musicista nostro e non nostro, fino ai più moderni e ai più discussi; e di quella dei grandi pittori e scultori e poeti, antichi e moderni e modernissimi, si veniva discutendo e sceverando quanto di eterno è nelle opere loro e quindi capace di riprodursi in nuova vita attraverso il travaglio della giovane generazione. Suscitare entusiasmi, promuovere e fortificare la fede nei cuori puri e vibranti di quegli adolescenti, sostituendo alle inevitabili timidezze e incertezze dell’età coraggio di idee e d’opere, favorirne in ogni modo il processo di assimilazione ad alimento della loro esperienza, saggiarli, provarli all’atto della realizzazione formale e pratica delle loro prime fatiche, e, quando fosse occorso, anche materialmente aiutarli: ecco il programma del Tebaldini direttore di Conservatorio, e come tale del Tebaldini musicista innanzi tutto italiano, tradizionale eppur attuale, funzionario scrupoloso eppur artista senza rinunzie dinanzi all’avvenire dell’arte, vero padre e fratello spirituale, ben dicevamo, dei suoi discepoli.

A naturale complemento di quanto si veniva facendo in iscuola, il Tebaldini non tralasciava occasione perché, in Conservatorio e fuori, i giovani estendessero le loro conoscenze e ne venissero praticando gli insegnamenti. Dovunque vi fossero, a Milano, a Torino, a Bologna, a Venezia, memorabili esecuzioni di capolavori musicali o avvenimenti artistici di qualunque natura ugualmente memorabili, egli non esitava a condurvi gli allievi o, muniti di qualche sussidio straordinario, a mandarveli da soli, perché ascoltassero, vedessero, apprendessero, e poscia ne riferissero, o, meglio ancora, ne facessero “sapone”, tornati a casa. Fu così che gli allievi del Conservatorio di Parma presenziarono ai famosi concerti dati a Torino, durante l’esposizione del 1898, dall’orchestra del Regio diretta da Arturo Toscanini (che l’adolescente Pizzetti, per quanti tentativi avesse fatti, non riuscì ad avvicinare, e ne scrisse tutto addolorato al maestro Tebaldini: il destino doveva poi associare così luminosamente il nome di Toscanini a quello di Pizzetti, da Dèbora in poi); a Milano, all’esposizione veneziana dell’anno successivo, e a Bologna, dove, con quelli diretti da Toscanini, furon dati concerti diretti da Martucci e da Hans Richter.

A Bologna il Tebaldini presentò i suoi allievi a Martucci e a Toscanini, che ebbero per essi e per l’amico maestro parole che certo non dovettero essere tanto presto dimenticate; e nel 1900, organizzato da lui un concerto verdiano a Busseto avendo a collaboratori gli allievi stessi, li portò in pellegrinaggio d’amore e reverenza a Sant’Agata. Era quello l’ultimo anno di vita del grande Vegliardo: i ricordi di quella visita sono stati commossamente evocati da Pizzetti stesso nel suo posteriore saggio critico su Verdi.

In conservatorio l’animoso direttore favorì con ogni mezzo, e con le conseguenze che vedremo appresso, le esercitazioni d’orchestra e di musica da camera degli alunni compositori e strumentisti. Si eseguivano musiche da essi composte e musiche, in prevalenza italiane, di autori classici. Fu in quel tempo che nacquero e furono per la prima volta eseguiti i primi lavori pizzettiani, oggi, stante i… pessimi sentimenti paterni di Ildebrando Pizzetti per quella sua primogenitura e la sua imperturbabile indifferenza verso chi affettuosamente lo prega di voler rompere la rigorosa consegna, si limitano a figurare solo coi titoli nelle bibliografie, tranne qualcuno cui il Tebaldini procacciò la pubblicazione. Ma più ancora fu in quel tempo che il futuro autore di Dèbora e Jaèle ebbe a iniziare, come dicevamo, quella personalissima esperienza che dalla musicalità gregoriana e le conseguenti originali indagini compiute su quella ellenica (che rimarranno come la prima ed unica interpretazione artistica di un mondo solo teoricamente conosciuto), nutrita del pane sostanzioso della nostra grande arte classica, doveva condurlo successivamente ai Cori della Nave, alla suggestiva ambientazione sonora e alla trenodia di Fedra, alle pagine corali di Dèbora e della Messa da requiem, alla Sonata per violino, alla fresca coralità di Abramo e Isacco e di Fra Gherardo. Il Tebaldini solo, quando altro non era ovunque che diffidenza, deprimente squallore di anime e di idee, seppe comprendere il giovane artista, creargli intorno quell’atmosfera di idealità di cui sentiva il bisogno (e il maestro stesso con lui), sostenerlo nelle prime dure lotte debilitanti, incoraggiarlo a perseguire la radiosa via intrapresa. E il discepolo oggi illustre ben seppe rispondergli.

 

L’opera del Tebaldini direttore del Conservatorio di Parma era alla sua rigogliosa benefica fioritura, quando l’inevitabile invidia degli impotenti credette giunto il momento di uscire dall’ombra insidiosa per stroncare violentemente quelle che erano ritenute null’altro che stolte e colpevoli velleità di un visionario.

In piena Camera dei Deputati, certo signor Albertelli, deputato socialista di Parma, presenta un’interrogazione al Ministro della P. I., che era allora il famigerato Nunzio Nasi, sui “gravi inconvenienti che minacciano da tempo la reputazione e la vitalità del R. Conservatorio di musica di Parma”. Potrebbe sembrare uno scherzo, ma pur troppo la cosa figura scritta nei verbali delle sedute della Camera, per chi avesse voglia di sincerarsene. E in fondo quel deputato non diceva delle falsità: ché, se pensiamo al genere di “reputazione” e in qual modo venisse assicurata la “vitalità” del Conservatorio di Parma prima che il Tebaldini ne divenisse il direttore, si capisce subito come potevano esser state messe seriamente in pericolo dalla insolita energia e dalla fin troppa chiaroveggenza di un uomo come il Tebaldini. Il quale, per nulla impaurito dallo scoppio di una cotal bomba, invoca subito dal Ministro un’inchiesta governativa, che venne affidata ad un probo funzionario del Ministero, il prof. Jacopo Agostini. Il risultato dell’inchiesta ebbe il torto di essere del tutto favorevole al Tebaldini, anzi elogiativa dell’opera di lui, e perciò il caporione socialista, per nulla soddisfatto e senza che dal Ministro venisse presa in alcuna considerazione la parola del suo funzionario, ottenne dal Nasi una nuova inchiesta, da affidarsi a persona specialmente “competente”. La scelta cadde su uno degli alti papaveri della cultura musicale di allora, il prof. Amintore Galli, a noi noto per essere stato l’autore di una farraginosa “Estetica della musica” e direttore delle pubblicazioni musicali della Casa Sonzogno, nonché critico del “Secolo”. Costui aveva qualche conto arretrato da regolare col Tebaldini, di cui s’era per lo innanzi professato ammiratore e seguace, ma che cessò di esserlo allorché gli riuscì vano ottenere dal Tebaldini uno sperato appoggio alla sua candidatura al direttorato del Conservatorio milanese, cui era stato proposto invece, dietro consiglio autorevole di Verdi, Giuseppe Gallignani, antico compagno di Tebaldini negli anni di “Musica Sacra”.

Non è qui il caso di entrare in troppi particolari di questa storia addirittura romanzesca determinata da un cumulo di interessi personali e politici coalizzati contro il Tebaldini, la cui opera antipersonale e antipolitica si ispirava solo a interessi d’arte e di italianità. Storia di intrighi, di sozze bassure e insinuazioni perpetrate senza alcun sentimento di coscienza umana e civile da uomini sulla cui memoria oggi, appartenendo essi al mondo dei trapassati, fisicamente e moralmente, non è pietoso, più che generoso, infierire. Chiediamo anzi scusa al Maestro se siamo portati ad evocarla, mossi dal desiderio di compiere opera doverosa ed efficace nello stesso tempo, perché il ricordarla vale a Sua esaltazione ed a mònito per quanti giovani troppo presto e troppo facilmente si credono sommersi e si dichiarano vinti dalle asperità della vita inevitabili, e necessarie come prove decisive della propria fede. Ci limitiamo perciò a riportare il testo di alcune fra le principali accuse all’opera direttoriale del Tebaldini, raccolte e sostenute dal Galli. Eccole: “spese eccessive per esercitazioni, concerti ed ingresso ai teatri” (quelli ai quali il Tebaldini faceva intervenire i suoi allievi”, “acquisti ingiustificabili (per la biblioteca) di lavori inutili” (si trattava di opere classiche e moderne indispensabili all’insegnamento e per la cultura storica e moderna dei giovani, da Palestrina e Orlando di Lasso, Bach e Beethoven, Schumann, Brahms, Berlioz alle partiture di Wagner, César Franck, d’Indy, Cui, Smentana, e per gli storici e teorici alle opere di Ambros, Coussemaker, Kiessevetter, Schlegel, Riemann, Lavoix, Marpourg, ecc.); “non addimostrò stima nel personale insegnante, che non fu da lui convocato per conoscerne i desideri e studiare il modo di elevare le condizioni dell’istituto” (C’era proprio bisogno di convocare il consiglio dei professori per conoscerne i desideri, - di quieto vivere e di minor fatica possibile, - e, in ogni caso, era proprio da loro che potevano venire suggerimenti di quella natura); “dimostrò criteri esiziali al progresso degli allievi, obbligandoli a troppo frequenti e prolungate esercitazioni di assieme, essendo egli d’avviso che s’impari più con queste che a scuola” (qui davvero non c’è bisogno di commento: lo è già eloquentissimo la stessa incredibilità di una “accusa” simile; ma insieme con i verbali delle sedute della Camera purtroppo esiste tuttora anche l’originale di una tale esemplare inchiesta); “il Direttore corre le città vicine, seguito da un manipolo di allievi, per godere l’audizione di orchestre più o meno famose” (le orchestre “più o meno famose” erano quelle di Toscanini, di Martucci, di Hans Richter; e nel “manipolo d’allievi” era Ildebrando Pizzetti); ed infine “si rimproverano al direttore tendenze clericali e dispotiche in pieno contrasto con lo spirito liberale e moderno (!) della popolazione di Parma” (questo si capisce, quando si pensa che si era al tempo dei mangiapreti, e che, ad esempio, nella classe di canto gregoriano e di polifonia classica istituita dal Tebaldini, non si poteva non trattare di testi liturgici e di arte sacra: ma non si capisce quando si pensa che in quella stessa classe si venivano leggendo e spiegando le opere dell’autore dell’Inno a Satana e quelle di Gabriele D’Annunzio, e quando si pensi che il Tebaldini veniva da una famiglia di patrioti, quale il padre, reduce e ferito delle battaglie garibaldine). Quale cattivo odore, passi il “liberale”, perfettamente in carattere, da quella parola “moderno” proferita in piena mentalità fin de siècle!

Il lettore ha nella semplice enunciazione di queste ridicole “accuse” gli elementi sufficienti per giudicare (la parte romanzesca gliel’abbiamo risparmiata, come ad esempio la tappezzatura di manifesti per tutta la città di Parma con su scritte di “abbasso” e “morte” e “la forca a Tebaldini!” dal principio alla fine di queste dolorose vicissitudini, rese ancor più dolorose da ripetute sventure venute a colpire il suo cuore di padre): non per giudicare Tebaldini, e nemmeno i suoi giudici, strumenti inconsapevoli del destino che a suo talento muove le passioni degli uomini, ma quel tempo. E bisogna riconoscere di essere ben fortunati, noi giovani, se abbiamo avuta la ventura di vivere e di operare in un oggi, quali che siano le imperfezioni che gli si vogliano lamentare e attribuire, che del tempo ingloriosamente passato non conserva che un pallido, anche se triste ricordo.

Per buona sorte non mancavano anche allora qualche uomo di pur tardivo buon senso, se non di coraggio. Il Tebaldini aveva già prese le sue decisioni: banditori in quei giorni il concorso al posto di direttore della Cappella musicale di Loreto, egli vi prese parte e proclamato vincitore. Quando il Ministro fu ben sicuro che il Tebaldini aveva accettato il Posto, e che quello di Parma era finalmente libero e disponibile, inviò allo stesso una lettera in cui si esprimeva, con ipocrite congratulazioni per la vittoria nel concorso, quelle non meno ipocrite per l’altra vittoria, decretatagli da una Commissione consultiva ministeriale, composta di senatori ed alti magistrati, alla quale erano state sottoposte le risultanze dell’inchiesta Galli. Ed ecco come si era espressa tale Commissione:

Tutto considerato la Commissione consultiva non trova nell’inchiesta alcuna accusa della quale il maestro Tebaldini debba rispondere. Egli appare invece un uomo che, senza mezzi di fortuna, superando tutte le difficoltà che si incontrano nella vita in tali condizioni, poté acquistare ancora giovane un posto invidiabile e invidiato. La Commissione ritiene meritevole il Tebaldini del posto che occupa ed i risultati dell’inchiesta non sono che le conseguenze dell’invidia che egli suscitò coll’avere ottenuto il posto e delle difficoltà che superò nell’introdurre le necessarie riforme. Ritiene degno di lode e di speciale considerazione il detto maestro Tebaldini, che merita nell’interesse del Conservatorio di essere aiutato, agevolato dal Ministro perché egli possa compiere le salutari riforme iniziate. Ritiene inoltre che siano meritevoli di censura Professori ed Impiegati del Conservatorio i quali per denigrare il Direttore non risparmiarono contro di lui giudizi erronei ed accuse ingiustificate”.

Il responso di questa Commissione fu comunicato al Tebaldini, dicevamo, quando egli aveva ormai accettato il posto di Loreto e rinunziato a quello di Parma, precisamente dopo due mesi che era stato pronunziato e quando il Tebaldini non sarebbe potuto tornare indietro sulle sue decisioni, nel caso l’avesse voluto. Metodi veramente liberali e moderni dei governanti d’allora. Era stata riconosciuta, sì, la vittoria del Tebaldini, ma soltanto quella a parole, mentre agli altri rimaneva quella ben più a loro premente, la vittoria a fatti, il posto di Parma libero disponibile. Ma Tebaldini non avrebbe nemmeno voluto tornar indietro. Ne aveva abbastanza, ormai, di quello che gli era successo, né la psicologia del tempo poteva permettergli di insistere oltre, e in forma ufficiale, nella strada iniziata contro corrente. Meglio ritornare nella quiete del tempio, meglio l’esilio operoso di Loreto. Oltre tutto, nella tristezza dell’addio alla scuola che gli era stata più cara d’ogni cosa, nella tristezza della solitudine lauretana, gli era alfine concessa una consolazione che niuno poteva togliergli: quella di non aver dato invano il suo entusiasmo, né di aver invano sofferto. Il seme buono gettato sarebbe pur germogliato un giorno, alla luce di questa speranza mai venne meno nel Maestro la fede sì duramente provata, e pur fra altre dolorose sventure domestiche che vennero a rendergli più tristi i lunghi anni di Loreto. La speranza è ora realtà: Giovanni Tebaldini non ignora la gioia di aver contribuito per la sua parte, e con tutto quello che poteva, nell’ingrata ora lontana, a quest’ora felice che è venuta a ridare all’Italia e all’arte italiana il suo vero volto. […]

 

Il 24 gennaio 1927 per Tebaldini fu una giornata storica. Tornò ufficialmente a Parma a tenere nella Sala Verdi del ‘suo’ Conservatorio una conferenza su Beethoven, chiamato dal direttore Guglielmo Zuelli12, il quale lo presentò ricordando il suo passato di direttore, le lotte sostenute, le ragioni dell’allontanamento.

Il ghiaccio era rotto. Si sentì tornato a casa e decise di donare alla Biblioteca del Conservatorio partiture manoscritte e autografe (come risulta dal “Catalogo delle opere musicali”), pubblicazioni di partiture musicali di altri autori.

Nel 1931 un editore parmense, il Fresching, stampoò il già citato libro su Pizzetti, in cui larga parte trovò la narrazione dei fatti accadutigli nella città farnesiana. E riprese a collaborare con periodici locali e a tornare in vacanza nella Villa Ugolotti-Fatigati di Vizzola, non dimentico, per tutta la vita, degli avvenimenti che lo avevano costretto a lasciare incompiuta un’azione ispirata da alte idealità.

 

Tra i corrispondenti parmensi rimasti a lui fedeli, che seppero comprendere i suoi ideali, vi era Mario Ferrarini13. In una lettera il musicista rievoca le ragioni dei contrasti avuti:

San Benedetto del Tronto 24 genn. ‘947

[…] Ho ricevuto dall’editore Casanova e ritirato sin dal giorno nel quale ebbi la sua lettera, il bello e ricco volume da lei compilato con tanta cura ed interesse: Parma Teatrale Ottocentesca. […]

Lei, a giusta ragione, ha illustrato ed esaltato la lirica, sopratutto teatrale che dal nome di Giuseppe Verdi tutta si illumina. La Scuola del Carmine si è sempre ambientata intorno ad essa; ed era logico. Poteva mai un Maestro di Cappella, guidato e sorretto da idee contrastanti affatto estranee alla vita vissuta sino ad allora dall’Istituto – cioè accosto al Teatro – poteva mai sognare e pretendere di farsi ascoltare per le sue pretese idee di un rinnovamento estetico e didattico nella scuola che i più giudicavano – e non soltanto a Parma – superato per sempre? […]

Quando leggo in riviste, e nelle più recenti opere di storia, di estetica, di teoria e di didattica, che il rinnovamento dell’arte nostra data dal giorno in cui si riprese a studiare ed a praticare sulla base di un passato remoto che a Parma io per primo, sin da cinquant’anni addietro, ho cercato di svelare facendomi precursore […] di un indirizzo che gli ultimi arrivati d’oggi – Casella, Malipiero et similia – pretenderebbero fare proprio, mi prende da un lato un senso d’orgoglio e dall’altro un senso di profonda tristezza. […]                                                                                                             [Ipac]                                                                                                                                                

Su Lodissea parmense Tebaldini ha lasciato un documentato dossier che meriterebbe di essere debitamente analizzato.

 

_____

 

Note

 

1.   Gallignani Giuseppe (Faenza, 1851 – Milano, 1923) studiò al Conservatorio di Milano e contemporaneamente fu Maestro di Cappella del Duomo del capoluogo lombardo, incarico che tenne fino al 1894. Fu direttore della rivista “Musica Sacra”; dal 1891 al 1897 diresse il Conservatorio di Parma, predecessore di Tebaldini. In quell’anno passò a dirigere il Conservatorio di Milano fino al 1923. Il 14 dicembre di quell’anno, dopo il collocamento a riposo, morì suicida. È autore di sette opere teatrali per alcune delle quali ha scritto i libretti. Attento riformatore della musica sacra, ne organizzò, con Tebaldini ed altri, i primi congressi: a Soave (1888), Milano (1891), Parma (1894). Successivamente si ritirò dal movimento per dissensi con l’autorità ecclesiastica.

 

2.   Dopo aver preso servizio al Conservatorio di Parma, Tebaldini ricevette da Giuseppe Verdi la seguente lettera spedita da S. Agata il 23 dicembre1897: “Maestro Tebaldini, Scrivo a stento, ma mi è caro rallegrarmi con Lei, Direttore del Conse­rvatorio di Parma. E più mi rallegro con codesto Istituto musicale, che avrà in Lei un artista che saprà vincere gli inevitabili ostacoli alle riforme di cui abbisogna. La ringrazio e contraccambio gli auguri. Rallegrandomi di nuovo le stringo le mani”.

 

3.   Frazzi Vito (San Secondo Parmense, 1888 – Firenze, 1974) studiò al Conservatorio di Parma  sotto la direzione Tebaldini il quale gli aveva fatto ottenere la gratuità nel convitto. Si diplomò nel 1905. Fu insegnante di composizione e organo all’Istituto Musicale di Firenze e docente all’Accademia Musicale Chigiana di Siena. Compose musiche per pianoforte, orchestra e coro; musica sacra e organistica; le opere teatrali Il giardino chiuso, Re Lear (su libretto di G. Papini), L’ottava moglie di Barbablù. Effettuò revisioni e trascrizioni, tra cui Orfeo di Monteverdi e, su incarico di Casa Ricordi, la riduzione per canto e pianoforte di Dèbora e Jaéle di Pizzetti.

 

4.   Nasi Nunzio (Trapani, 1850 – Erice, 1935), deputato dal 1886, fu Ministro delle Poste del gabinetto Pelloux e dell’Istruzione con Zanardelli (1900-1903). Nel 1904 fu condannato per peculato ad undici mesi di carcere. I suoi elettori, che lo consideravano vittima di odii politici, continuarono ad eleggerlo non tenendo conto dell’annullamento delle varie elezioni.

 

 5.   Albertelli Guido (Parma, 1867 – Roma, 1938), laureato in ingegneria, progettò importanti opere, soprattutto di idraulica, per il territorio parmense. Nella sua città fu tra i fondatori del Partito Socialista e della Camera del Lavoro. Dal 1900 al 1902 e dal 1913 al 1921 fu deputato al Parlamento. Sfuggito ad un attentato dei fascisti, si trasferì a Roma.

 

 6.   Galli Amintore (Talamello, Pesaro, 1845 – Rimini, 1919), critico musicale e compositore. Studiò al Conservatorio di Milano. Iniziò la sua carriera dirigendo la banda di Amelia (Terni), indi fu direttore della Scuola di Musica di Finale nell’Emilia, ove rimase dal 1871 al ‘73. Si trasferì poi a Milano come critico musicale de’ “Il Secolo” e, dal 1878 al 1903, insegnò contrappunto ed estetica musicale al Conservatorio. “G. Verdi”. Direttore artistico della Casa musicale Sonzogno, organizzò i famosi concorsi e diresse le riviste “Euterpe”, “Teatro illustrato” e “Musica popolare”. Nel 1904 lasciò l’Editrice, dal 1914, si stabilì a Rimini.

 

 7.  Righi Telesforo (Brescello, 1842 – Parma, 1930), dopo aver compiuto studi con Dacci e Rossi alla Regia Scuola di Musica di Parma, nel 1866 si diplomò in pianoforte e composizione. Docente supplente nella stessa scuola, ottenne la nomina definitiva nel 1875. Insegnò a Parma negli anni in cui Tebaldini era Direttore del Conservatorio (1898-1902), fino al collocamento a riposo (1908). Compose opere giocose e melodrammi. La lettera del Righi fu pubblicata il 9 settembre 1901. In essa veniva messa sotto accusa l’eccessiva severità della Commissione esaminatrice agli esami, il cui comportamento, secondo il Righi, era da imputarsi al Direttore; veniva affrontata anche la questione di un diesis corretto dal Tebaldini sull’elaborato dell’allievo Candiolo, che, secondo Righi, era corretto; infine incolpava Tebaldini di sottoporre gli studenti a eccessivi impegni con corsi complementari ed esercitazioni pratiche e di distoglierli dallo studio assiduo nei corsi principali.

      Nel fascicolo “Odissea parmense” Tebaldini ha lasciato la testimonianza che segue:

      “La lettera del Maestro Righi merita qualche commento. Anzitutto a notare l’atto di aperta e sfacciata ribellione compiuto con essa a danno del proprio immediato superiore. Oltre a ciò la lettera stessa rivela con quale animo il Righi si sia presentato due mesi prima a deporre innanzi alla Commissione d’inchiesta. La quale, naturalmente, guidata dai medesimi sentimenti, raccolse con esemplare sollecitudine le subdole e malvagie accuse. Che il Direttore Tebaldini - come fu detto dal Righi – abbia raccomandato alla Commissione d’esame d’essere molto esigente, è stata menzogna volgare, pur se ammissibile il diritto in un direttore degli studi di esporre a una Commissione i propri criteri didattici. Quanto al consiglio dato all’alunno Candiolo di togliere un diesis là – dice il Righi – proprio là dov’era necessario, torna conto raccontare che il fatto ha dato luogo di poi ad una controversia d’ordine didattico delle più interessanti e significative. Interloquirono in essa: Pietro Platania, Direttore del R. Conservatorio di Napoli; Nicola d’Arienzo, professore di composizione nello stesso Conservatorio; Guglielmo Zuelli, Direttore del R. Conservatorio di Palermo; Antonio Scontrino, professore di composizione al R. Conservatorio di Firenze; Teodoro Dubois, Direttore del Conservatorio di Parigi; Andrè Gedalge, celebre contrappuntista, professore egli pure allo stesso Conservatorio. Tutti contrari all’ammissione del diesis, là proprio là dove non ci andava! Uno dei nominati aggiunse anzi: “chi parla di diesis non può parlare di fuga!”. Et de hoc satis! […]”.

[Come risulta dalla corrispondenza e da un appunto autografo, Tebaldini, incontrando a Padova Pizzetti, il 7 settembre 1946 gli aveva consegnato le testimonianze epistolari sulla “questione del diesis”. Nel dossier “Odissea parmense” resta copia del parere di Gedalge]

      Merita conto tuttavia ricordare una successiva circostanza. Nell’aprile 1913 [giorno 19], nel Corriere d’Italia di Roma e nell’Avvenire d’Italia di Bologna, il M° Tebaldini pubblicava un articolo  intitolandolo Le amenità della vita musicale in Italia nel quale narrava, riassumendoli, i più interessanti  particolari dell’inchiesta.

      Il M° Righi allora, già estromesso dal suo posto, in data 4 maggio [timbro postale], indirizzava al Tebaldini queste significative parole: “Ho letto il suo bellissimo articolo e La ringrazio, quantunque accenni a quella tal lettera pubblicata senza il mio consenso! (Anima innocente! Non ricordava di essersi indirizzato al direttore dell’Idea dicendo: “Di sovente anch’io rammento il passato, ma con poco rimpianto poiché, se provai giorni lieti altri ne susseguirono di assai tristi procurati da coloro che, sotto il manto d’Euterpe, agivano da virtuose… (forse il M° Fano?) non esclusi certi allievi… (forse Pizzetti!) ed altri ancora. […]”.

      (da una cartolina postale conservata nel Centro Studi e Ricerche “G. Tebaldini”. Le sottolineature che appaiono nell’originale e le espressioni rese in carattere corsivo sono di Tebaldini, come pure le aggiunte tra parentesi tonde)     

8.  Pizzetti Ildebrando (Parma, 1880 – Roma, 1968) studiò al R. Conservatorio di Musica di Parma, prima sotto la direzione di Giuseppe Gallignani e dal 1897 del Tebaldini. Dal 1908 insegnò composizione nel medesimo Conservatorio per passare, come docente di armonia e contrappunto, all’Istituto Musicale di Firenze che diresse dal 1917. Nel 1924 fu nominato direttore del Conservatorio di Milano. Nel 1936 occupò la cattedra di perfezionamento di composizione nel Conservatorio di Santa Cecilia a Roma. Riconosciuto come uno dei massimi compositori del Novecento, ha prodotto importanti opere anche su suoi testi. Tra le più note La figlia di Jorio, Fedra, Assassinio nella Cattedrale. Ebbe un fecondo sodalizio con Gabriele D’Annunzio. 

9.   Intervenendo in merito alla lettera di Righi, Pizzetti scrisse alla redazione de’ “L’Idea” senza ottenerne la pubblicazione. Il 5 ottobre inviò la stessa lettera alla “Gazzetta di Parma”. Ecco il testo uscito due giorni dopo:

     “Egr. Signor Direttore,

      Le scrivo certo che Ella vorrà concedere l’ospitalità a questa mia lettera nel di Lei giornale. Le scrivo per dir qualcosa anch’io “pro Conservatorio”.

      Non è mia intenzione di vagliare le accuse mosse dall’Idea al m. Tebaldini, né di difenderlo da esse, poi che altri – fra bene e male – lo ha già fatto.

      Il “pro Conservatorio” comparso nel numero dell’Idea del 7 scorso mi ha deciso ad entrare nella questione, forse per portarvi un poco di luce, la qual luce mi pare si debba far sempre, anche quando essa vada a profitto dei propri avversari.

      L’Idea ha mosso una guerra ad oltranza al m. Tebaldini, essa avrà le sue ragioni per far così e a me non compete cercarle; ma da un po’ di tempo in qua non è più dall’Idea precisamente che viene la guerra; è dai professori ed alunni del Conservatorio (non tutti) e ciò deve destare un senso di indignazione e di ribrezzo in tutti gli onesti.

      Così, con tutte le altre accuse: di parzialità, di imprevidenza, di incapacità, si è mossa al Tebaldini anche quella di aver guastati gli alunni e di averli sovraccaricati di lavoro inutile e dannoso.

      Ciò è assolutamente falso e io ne posso dire qualche cosa.

      Quattro anni or sono, quando venne a Parma il m. Tebaldini a dirigere il Conservatorio, egli pochi giorni dopo aver preso le redini dell’Istituto, invitava gli alunni di composizione e qualcun altro, a un Corso di Canto gregoriano e di Polifonia vocale e istrumentale.

      Io era fra quegli alunni ed io cogli altri risi della nuova istituzione, poiché in scuola, ne la scuola nostra di composizione, parlare di Canto gregoriano, di Polifonia, di Classici, di Palestrina, di Bach, di Beethoven, era come parlar arabo, perché in tutti noi c’era la inveterata credenza (acquisita in conservatorio) che si potesse far della musica senza studiare quelle anticaglie, “musica da conciliare il sonno”.

      Incominciarono le lezioni fra i sorrisi repressi di tutti noi alunni (eravamo nove, se ricordo bene), ma dopo qualche mese tutti i miei compagni si ritirarono perché, dicevano essi e il loro professore, alle lezioni di Tebaldini si perdeva troppo tempo e non si poteva attendere allo studio principale; io rimasi, e continuai ad assistere a quelle lezioni (tenute nella forma più confidenziale e famigliare) fino agli ultimi mesi passati in Conservatorio, quando il Tebaldini, vedendo quanto io avessi ad occuparmi da altra parte, diradò e poi sospese le lezioni.

      Ora io dichiaro, sulla mia parola di uomo onesto, che se io son stato preso dal desiderio di conoscere Palestrina, Lasso e gli altri autori del 5 e del 600, Bach, Frescobaldi, Tartini ed altri ancora, che molti musicisti si vantano di conoscere appena di nome, il desiderio m’è venuto dalle lezioni del M. Tebaldini; se io ho appreso a considerare la polifonia non come vana esercitazione meccanica, ma come una forte e nobilissima forma d’arte, lo debbo a lui.

      Questi gli studi inutili e dannosi che, secondo tanti e tanti professori, si impartiscono in Conservatorio.

      Ho scritto questa lettera pro Conservatorio poi che io credo si debba dir la verità sempre, poi che la mia coscienza mi imponeva di far così.

      Io sono per natura alieno da polemiche: se però qualcuno trovasse oscura qualche frase de la mia lettera, se qualcuno desiderasse maggiori schiarimenti, son pronto a darli a chiunque.

      Ringraziandola, Egregio Direttore, de la cortese ospitalità, mi creda

di Lei aff.mo Ildebrando Pizzetti”

     

      Nel giro di qualche giorno su “L’idea” apparve la replica e il 15 ottobre su “Gazzetta di Parma” una nuova lettera di Pizzetti che spiegava come egli fosse stato costretto ad erigersi ad accusatore del M° Righi perché aveva passato l’ultimo anno in una continua lotta “per sostenere gli ideali suoi d’arte”, una lotta nella quale egli aveva dovuto “cedere e soccombere sempre sempre”. Egli si difendeva dalle accuse di mancanza di rispetto verso il suo professore di composizione e rivendicava il diritto di aver dato  “una deposizione di fatto” nella quale aveva detto semplicemente la verità. 

10. Orlando Vittorio Emanuele (Palermo, 1860 – Roma, 1952) fu insigne professore di diritto presso le università di Modena, Messina, Palermo e Roma. Deputato dal 1897, fu Ministro dell’Istruzione, di Grazia e Giustizia, dell’Interno. Nel 1917, dopo la disfatta di Caporetto, fu Presidente del Consiglio. Nel 1924 si oppose al fascismo ritirandosi dalla vita politica. Nel ’44 riprese la cattedra a Roma, rivestì alti incarichi e fu senatore di diritto nella prima legislatura repubblicana. 

11. Pilati Mario (Napoli, 1903 – ivi, 1938), studiò al Conservatorio “San Pietro a Majella” di Napoli diplomandosi in composizione. Docente prima al Conservatorio di Cagliari, poi in quello di Milano, tornò nella sua città come professore di contrappunto dell’Istituto in cui aveva studiato.  Passò, quindi, a Palermo. Fu anche compositore di brani per orchestra, per pianoforte e di musica da camera. Come critico musicale collaborò a quotidiani e periodici. Fu legato da profonda amicizia e stima a Tebaldini, al quale nel 1929 dedicò un significativo studio per il “Bollettino Bibliografico Musicale” (pp. 1-29). 

12. Zuelli Guglielmo (Reggio Emilia, 1859 – Milano, 1941) frequentò il Liceo Musicale di Bologna con Luigi Mancinelli e si diplomò in contrappunto e composizione nel 1882. Fu scritturato nel 1888 come direttore sostituto di Martucci e Faccio all’Esposizione Musicale di Bologna. Dal 1892 fu insegnante del Conservatorio di Palermo che passò a dirigere due anni dopo. Nel 1911 accettò la nomina a direttore del Conservatorio di Parma. Nel gennaio 1927 invitò Tebaldini a tenere al Conservatorio di Parma le commemorazioni di Beethoven, Verdi e tre lezioni gregoriano-palestriniane. Nel 1929 assunse la direzione dell’Istituto Musicale di Alessandria. Svolse attività di direttore d’orchestra, compose opere pubblicate da Sonzogno e Ricordi, ottenendo premi e riconoscimenti.

 13. Ferrarini Mario (Parma, 1874 – ivi, 1950), figlio del famoso direttore d’orchestra Giulio Cesare, fu appassionato di lirica e raccoglitore di antiche memorie teatrali. Svolse la professione di avvocato; fu anche giornalista e critico d’arte. Aggregò una parte dei suoi scritti di argomento musicale in Parma Teatrale Ottocentesca. Negli anni 1897-’98 fu segretario e amministratore generale del Teatro Regio di Parma per il quale organizzò apprezzate stagioni liriche e le rappresentazioni per il Centenario Verdiano del 1913. Ha lasciato alla Biblioteca Palatina e al Comune di Parma una mirabile raccolta storico-teatrale con oltre seicento libretti d’opera, migliaia di manifesti, carteggi e incisioni.

 

 a cura del Centro Studi e Ricerche “Giovanni Tebaldini”

 

 

Giovanni Tebaldini all’epoca in cui era

direttore del Conservatorio di Parma

 

Primo cortile del R. Conservatorio di Musica in Parma

Roncole di Busseto, 28 ottobre 1900.
L’orchestra del Regio Conservatorio di Musica di Parma, formata dagli studenti e

da alcuni insegnanti, con il direttore Giovanni Tebaldini, davanti la casa natale di Giuseppe Verdi

 

 

back home