Su e giù per Napoli
 A n i m a  e  C o r p o

 

[…] Volesse o no ammansire le fiere contemporanee, lo dico seguitando che il Tebaldini si era fitto questo chiodo nella testa di spremere il miele del bene dal frutto acerbo della passione. Della passione, diciamo così, grezza, primitiva, congenita, pel reale, per ciò che si vede e si tocca e parla ai sensi per poi arrivare all’anima; della passione pel tumulto degli affetti, per lo scotimento nervoso per il dramma vissuto o fantasticato. Diamo, egli forse pensò, al nostro ideale religioso il passaporto del realismo. Rendiamolo drammatico. Era l’antico sogno di Emilio dei Cavalieri.

Emilio dei Cavalieri, come già sappiamo, era un gentiluomo romano. Intendente della musica del Granduca di Toscana per diversi anni, fino al 1596, prese parte, col Peri, il Caccini ed altri, alla creazione del nuovo stile musicale, detto rappresentativo, ed a quello della opera fiorentina. Primo fra tutti, (dice il Peri nella prefazione all’Euridice), e con una meravigliosa invenzione, egli fece sentire sulla scena questo genere di musica.

L’antico sogno fu incarnato dal dei Cavalieri nella Rappresentazione di Anima e di Corpo, con la quale egli si studiò di rendere l’anima palpabile, visto che la gente di oggi, come quel santo realista di Tommaso apostolo, con crede se non tocca.

Il Tebaldini, che già per composizioni originali avea conseguito cinque primi premi ad unanimità nei concorsi indetti dalla Schola cantorum di Parigi, pensò di esumare e vivificare la Rappresentazione del de’ Cavalieri. Sotto la gran sapiente direzione, due audizioni ne furono date a Roma, una all’Accademia di Santa Cecilia, l’altra all’Augusteo, 12 e il 16 aprile 1922. E il successo ne fu pieno, grandioso, concorde, come egli avea preveduto e vagheggiato.

Uomo di proposito e di fede, si diè poi toto corde alla costruzione di questo corpo animato: o per dir meglio (o peggio), come il dei Cavalieri si era ingegnato di dare un’anima al corpo, così il Tebaldini volle creare un’anima corporea.

 

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Questo che io scrivo è tutt’altro che musicale, osserveranno qui i competenti. Ed io lo riconosco subito e volentieri. Fortunatamente però la musica non è solo composta di crome e di biscrome, come la pittura non è solo una combinazione di colori. Wagner, scrivo per farmi intendere dai miei pazienti lettori, i quali per la più parte sanno di musica quanto me, cioè niente.

Poco tempo dopo il primo esperimento, il Tebaldini inaugurò, primo in Italia, i Concerti storici, presentando le varie scuole musicali attraverso successivi periodi in ordine cronologico.

Nominato direttore del Conservatorio di Parma, ebbe a sostenere una guerra spietata, perché rompeva in visiera a tutte le tradizioni. Parve un rivoluzionario, e non era che un innamorato dell’Arte e del proprio Ideale, che gli era sempre compagno. Incurante degli attacchi, formò discepoli che oggi son divenuti maestri. E intanto, gli stupidi avversari, in quella sua evocazione ardente, assidua, delle bellezze estetiche e spirituali del mondo latino, vollero vedere un mezzo di propaganda politica. Cose che si direbbero dell’altro mondo, se pur troppo non fossero di questo.

Meglio che io non possa, l’opera del maestro di Parma è riassunta nella seguente lettera di Ildebrando Pizzetti, suo discepolo. [apri “L’Odissea Parmense”]

Ritiratosi nella sua Loreto, in quella santa quiete indisturbata, le idee del geniale musicista si consolidarono, le aspirazioni divennero più imperiose ed urgenti, le visioni dell’armonica rispondenza fra i due mondi, religioso e drammatico, presero nervi, sangue, corpo, contorni, vita.

In febbraio 1908, invitato a tenere una conferenza al Collegio romano, pensò di riaccostare comparativamente in sincronismo visivo e auditivo opere d’arte plastica e musicale che avessero analogie storiche, estetiche, spirituali. Parlò dell’anima musicale di Venezia, partendo da Carpaccio e dai primi musici di San Marco, per arrivare a Tiepolo, a Benedetto Marcello ed a Lotti; facendo proiettare sullo schermo riproduzioni di quadri e statue, mentre si eseguivano brani musicali di maestri appartenenti all’epoca dei pittori e degli scultori ricordati.

La medesima conferenza fu poi ripetuta il 1913 a Torino, e in seguito al Conservatorio di musica di Zurigo, alla Maison du peuple di Losanna, alla Sociètè des ètudes italiennes di Ginevra.

Il 1912 ebbe incarico di dirigere i Concerti storici detti di sopra all’Accademia di Santa Cecilia e all’Augusteo, a Roma, e di ricostruire il melodramma scenico, di Emilio dei Cavalieri.

E incominciò subito dopo la sua peregrinazione attraverso il mondo ideale che gli si affacciava allo sguardo coi concerti spirituali di Bologna, a beneficio dei profughi veneti (dicembre 1917), nella chiesa di San Giacomo, fra i dipinti dei Francia, Guercino, Domenichino, Caracci, Costa, Procaccini. Nella penombra del vespero, dopo la luttuosa giornata di Caporetto, adunò il suo pubblico silenzioso, come ad un rito di raccoglimento e di preghiera. Illuminando di luci opache le pale degli altari; nascondendo la massa degli esecutori (soli, coro, orchestra), s’innalzò a Dio l’implorazione per la voce di Davide con Benedetto Marcello, e di Ezechia con gli accenti di Carissimi. E l’orchestra magnifica pianse col maestro nel Convoglio funebre del San Francesco, di Edgardo Tinel, il Belga, che in quei giorni piangeva straziato egli pure.

 

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Dopo i concerti di Bologna, invitato a fare qualche cosa di simile per la commemorazione dantesca di Ravenna, da celebrarsi il 1921, pensò il Tebaldini che solo un grande poteva accostarsi a un altro grande, così pel carattere della sua arte come per l’indole della figura storica; e si fermò al Palestrina, a complemento del quale fece concorrere quel canto gregoriano ultra millenario, che il Poeta avea pure ascoltato e tante volte rievocato nelle sue Cantiche.

Impossibile riassumere qui il programma della evocazione dantesca palestriniana. Le nostre chiacchierate alla buona non comportano lungaggini, per interessanti che queste possano essere. Basti dire che quel programma è quanto di più stupendo si possa immaginare. Accostando il canto gregoriano e la polifonia del Palestrina ai versi della Divina Commedia, la musica illustra l’idea animatrice del Poema e il suo contenuto allegorico, morale, cristiano.

 

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Spetta alla nostra giovane e gloriosa [Associazione] Alessandro Scarlatti il vanto di aver fatto rivivere la Rappresentazione di Anima e Corpo del dei Cavalieri.

Nei primi mesi del 1919 essa invitò fra noi il Tebaldini perché organizzasse, dirigesse e facesse gustare al pubblico napoletano l’opera squisita dell’antico musicista romano.

Fu scelta, per l’esecuzione, la chiesa di San Paolo Maggiore, più comunemente detta di San Gaetano, della quale altra volta abbiamo discorso a lungo.

Anche qui volle il Tebaldini dare effetto al suo divisamento, inteso a produrre sugli ascoltatori una commozione più intima e profonda: penombra, massa orchestrale e cantanti nascosti, raccoglimento solenne, mistero… La prova immediata, indiscutibile del pieno effetto raggiunto è in questa breve e schietta lettera, che chiamerei impulsiva, scritta al maestro direttore dal nostro grande artista dello scalpello:

“Dopo la vostra assenza, ho frequentato la chiesa di San Gaetano, dove voi mi faceste sentire la prima volta una musica pura e ideale che riempie l’anima a noi terreni e placa il Creatore a noi quaggiù. Vincenzo Gemito

Alla Rappresentazione di Anima e Corpo furono aggiunte alcune Laudi spirituali di Animuccia e di Anerio, contemporanei di Filippo Neri; e poi brani di Giovanni Gabrieli della scuola veneta; infine scene degli oratorii Jefte ed Ezechia di Carissimi.

L’anno appresso, 1920, anche nella chiesa di San Gaetano si ritentò la prova con l’intero Jefte.

 

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Si avvicinava intanto alla Commemorazione dantesca nella chiesa di Sant’Apollinare di Ravenna.

Volle il maestro una rappresentanza del coro femminile della nostra “Scarlatti”, tanto era rimasto ammirato della perfezione raggiunta dai singoli esecutori e dal complesso delle voci, mercé gli sforzi assidui e intelligenti di due insigni artisti, onore di Napoli, Emilia Gubitosi e Franco Michele Napoletano.

In cinque soli giorni, il coro femminile partenopeo era all’ordine, e sostenne l’ardua prova con un risultato che parve e fu veramente prodigioso.

Un musicista futurista presente – il Pratella, compagno del Marinetti – ebbe a dire che quella era la più degna commemorazione del nostro massimo Poeta, e ne scrisse con entusiasmo in giornali di Bologna e di Roma. E del libretto della “Trilogia”, del programma accennato più sopra, furono anche entusiasti Salvatore di Giacomo, Giovanni Federzoni, Antonio Fradeletto, Giuseppe Lesca, ed altri ed altri.

Nella storica Basilica, dove Dante si soffermò forse davanti ai mosaici del settimo e dell’ottavo secolo, risuonò quel canto gregoriano, che nella vicina chiesa di San Francesco suscitò il canto delle immaginose terzine.

Il Palestrina, lo spirito più affine, nel campo della musica, allo spirito di Dante, portato ad illustrare e commentare i passi corrispondenti della Divina Commedia e ad animare la figurazione dei mosaici bizantini, costituiva una realtà etica ed estetica, spirituale e concreta da aprire la porta ad una visione di bellezza ideale e superiore.

A Ravenna, la chiusa dell’Inferno con l’Exaltabo te Domine, e il Purgatorio col canto delle Beatitudini e il Vidi turbam magnam del Paradiso, esaltarono.

 

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Forse il quadro vagheggiato dal maestro non ha ancora trovato la sua estrinsecazione completa e assoluta. Lo dicano i competenti. La necessità di numerosi esecutori e di lunghe prove; quella di creare un ambiente raccolto di poesia religiosa; quella, ancora più ardua, di predisporre gli animi alla meditazione, sì che ognuno degli ascoltatori sia in grado di formarsi da sé una realtà immaginaria a seconda del proprio stato, della propria potenzialità; rende difficile e complessa la traduzione oggettiva di un ideale basato soprattutto su elementi soggettivi.

Ma prima o dopo, a lustro maggiore dell’arte e a gloria del maestro, l’intento sarà raggiunto. Sic est in fatis!

 

F. Verdinois1

 

(stralci da “Il Roma della Domenica”, a. IV, n. 29, Napoli, 20 luglio 1924)

 

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1.  Francesco Verdinois, letterato napoletano, collaboratore di quotidiani.

 

 

 

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