TEBALDINI GIOVANNI

 

 

[…] Negli anni in cui l’Italia delirava per l’operismo in senso assoluto, giungendo a proclamare capolavoro la Jone di Petrella una partitura notoriamente sgrammaticata, Giovanni Tebaldini risaliva con ardito passo da pioniere alle fonti del classicismo scoprendo i grandi dei secoli d’oro.

[…] Della musica antica fu una specie di fanatico e, prima ancora della celebre riforma di Pio X il Tebaldini lavorò per conto proprio. Musica sacra austera e nobile adatta per il tempo egli andava ammonendo, e i suoi discorsi ne erano un continuo esempio. L’organo di un certo paese del bresciano risuonava a quell’epoca, e scandalosamente, di pezzi di struttura religiosa: vi muoveva le dita, da ispirato, il nostro giovane maestro, e le ire del clero avvezzo ai fragorosi pezzi dei mestieranti accompagnavano quelle fulgidi esecuzioni.

Giovanni Tebaldini ha lavorato per tutta la vita a riesumare, scoprire, proporre. Le riviste specializzate si sono valse della sua preziosa collaborazione tutte le volte che era necessario rispolverare la gloria di antichi maestri. Tebaldini ha sempre risposto all’appello con entusiasmo d’un giovanotto alacre e industrioso. Confalonieri lo ha pure definito “un Sigfrido in giacca e calzoni”: egli abbatte le porte del recinto ove sono prigioniere le belle musiche. […]

A novant’anni [ottantasette] suonati le sue energie erano ancora fresche ed intatte. Il magistrale apporto della sua mirabile esperienza di musicologo e storico alla rivista “La Scala” è espresso da date recenti. E accompagnava i suoi articoli al direttore con limpide lettere di quattro, sei ed anche otto facciate. Stupefacente sereno tramonto, ne siamo ammirati, anzi strabiliati.

A Brescia Giovanni Tebaldini non è un nome di richiamo. Valga questa nota vergata nell’inchiostro cupo dell’amarezza, a illuminare la sua persona. “Abbiamo voluto bene a Tebaldini per una virtù rarissima: per la franca consapevolezza del suo ingegno. Non era un falso modesto Giovanni Tebaldini, era un maestro conscio della sua autorità. Lo abbiamo ammirato anche per questo oltre che per il cumulo del sapere che illuminava i diciotto lustri della sua operosa esistenza.

È morta una grande mente, sparisce dalla scena della vita un uomo che altri ci invidiano. E sappiamo che egli lascia un patrimonio del quale i posteri trarranno profitto. Oggi la musicologia ha fatto passi da gigante anche in Italia, e Tebaldini che fu un esploratore, ci benefica con un’eredità preziosa. Frughino i dotti nelle sue carte e vi troveranno una miniera di erudizione” (G. B.).

[…] Nella storia musicale italiana degli ultimi cinquant’anni (circa 1890-1940) spetta a Giovanni Tebaldini un posto d’onore. Egli fu tra i primi – in tempi di vera infezione melodrammatica – a dare vitale impulso alla riforma della musica sacra e a ricondurre le giovani generazioni dei musicisti all’amore della nostra antica musica: il canto gregoriano e l’epoca aurea palestriniana hanno in lui il più forte ed appassionato conoscitore. Al Tebaldini si debbono – oltre a molte opere di alta ispirazione – riesumazioni importantissime quali quelle della “Rappresentazione d’anima e corpo” del de’ Cavalieri, dell’ ”Euridice” del Peri e del Caccini.

L’illustre musicista continuò a svolgere attività di conferenziere, di musicologo e di compositore. Notissimo è il successo riportato dal suo Quintetto gregoriano e dalle conferenze romane su Beethoven. “Le sue conferenze – scrive Giulio Fara – sono lezioni in cui erudizione diventa cultura e questa si anima sempre del calore della fede e dello slancio dell’amore. Molti ricordi legano la vita di questo musicista a figure di primissimo piano d’altri tempi, ed a sentirlo rievocare fatti e pensieri del Verdi, Boito, Ponchielli, Bazzini, Puccini, Bossi e di molti altri ancora ti sembra di rivivere in mezzo a loro”.

Ma soprattutto è Giovanni Tebaldini un maestro, nel più alto senso della parola. Premesso al suo nome, questo titolo acquista – come in pochi altri casi – il valore più completo ed assoluto.

Astrazion fatta dalle doti precipue del musicista, la figura di Tebaldini uomo è tutta illuminata dalla luce di uno spirito forte e puro, nel quale bellezza e bontà trovano il loro ideale congiungimento. Fortunati si ritengono coloro i quali, atti a ricevere il benefico afflato che emanava dalla personalità del maestro, ebbero occasione di avvicinarlo sia in veste di discepoli nel diuturno contatto della  scuola, sia in qualità di amici in occasionali incontri e discussioni d’arte.

È qui però difficile fare una separazione netta nell’estensione dei due concetti di discepolo e amico. Possiamo infatti chiamare semplicemente “Maestro” colui che oltre ad insegnarci nell’ambito della scuola i precetti e la tecnica dell’Arte, dischiude il nostro animo alle più elette espressioni della bellezza, ci accosta ai capolavori dei grandi e ce li svela, ci fa sentire i valori altissimi della tradizione italiana, non solo, ma, uscendo dal capo dell’arte, ci è prodigo di affettuosi consigli, ci sprona a superare da forti le lotte basse della vita, plasmando in noi, accanto a quella dell’artista, l’anima dell’uomo? Un alunno del Conservatorio di Parma, al tempo che Giovanni Tebaldini ne era direttore, scriveva al maestro: “Io vorrei dire nel suo libro istesso (“Ildebrando Pizzetti nelle ‘memorie’ di G. T.” Fresching, Parma), che a Lei soltanto devo la prima rivelazione del canto gregoriano e della sua divina bellezza, e la rivelazione della polifonia vocale – da Morales a Palestrina a Vittoria ed a cento altri, – e  la prima rivelazione di Bach (attraverso la Messa in si min. e le Cantate), e di Beethoven e di Wagner ed anche dei nostri operisti più grandi, e che le devo soprattutto di avermi rivelato per primo quale sia lo spirito della musica, cioè che cosa è la musica”. E poi: “Da un anno ad oggi si è fatta molta luce nell’anima mia ed io lo debbo in gran parte a Lei… grazie Maestro… Spero fermamente che l’opera mia in avvenire possa dirle che ho sentito e compreso”. Chi vergava queste parole di amorosa riconoscenza era Ildebrando Pizzetti, l’illustre autore di “Débora e Jaéle”. Ed è a Giovanni Tebaldini che spetta il vanto di aver contribuito in larga parte alla formazione spirituale ed artistica di questo musicista che, con la sua opera di sano rinnovamento, fiorito dalla più pura tradizione classica, fa onore all’Italia musicale di oggi. La voce di Ildebrando Pizzetti fu allora interprete, pel passato e l’avvenire, della voce di tutti coloro che sono passati accanto al Tebaldini e, per quanto concerne la speranza “fermamente” sentita dal musicista parmense, possiamo oggi con orgoglio constatare che essa si è avverata nel modo più lieto: da “Fedra” a “Débora” dal “Trio in la” all’ultimo quartetto, da “Fra Gherardo” allo “Straniero” e all’ ”Orseolo”.

Egli fu, fin da giovane, giornalista battagliero e accese vivaci polemiche d’arte, una delle quali gli valse… l’espulsione dal Conservatorio milanese. Recatosi a Bayreuth per assistere al ciclo delle opere wagneriane, decise di rimanere in Baviera, per iscriversi, quale alunno della Kirchenmusikschule di Ratisbona; fu il primo dei numerosi italiani che in seguito la frequentarono (Arengo 1935).

Uomo di vastissima cultura, oratore eloquente, scrittore forbito ed efficace, critico acuto, musicologo sagace, esteta raffinato, compositore sensibile ed equilibrato, didatta diligente ed ordinato, continuò anche dopo il suo collocamento a riposo quale maestro della Cappella Lauretana la sua intensa attività. […]  

Giovanni Bignami

 

(stralci da Enciclopedia dei musicisti bresciani, Fondazione Civiltà Bresciana, Brescia, 1985, pp. 228-30)

 

 

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